"Caravaggio e il gusto mafioso": saggio sulla 'Natività' di Palermo di Francesco Paolo Campione



Esce in questi giorni Decodifiche criminali. Saggi su illegalità e comunicazione, a cura di Antonia Cava e Sebastiano Nucera ed edito da Corisco.
Il volume contiene il saggio di Francesco Paolo Campione Il potere di un quadro: Caravaggio e il gusto mafioso, che riguarda in particolare gli studi caravaggeschi per interessarsi al furto della Natività di Palermo, definita suggestivamente "Un santino d'autore".
Caravaggio400 pubblica in anteprima online l'articolo, inserito anche nella Biblioteca on line.
Di seguito eccone l'abstract:

L’affermazione del potere di una organizzazione criminale è indissolubilmente legata a un atto dimostrativo: un omicidio, una rapina eclatante, un furto altrettanto clamoroso prima ancora che delitti fini a se stessi sono ciascuno un messaggio di forza che deve essere veicolato attraverso le forme e i media più eloquentemente connotati dal punto di vista simbolico. Nel caso del fenomeno mafioso, la legittimazione di quel potere si caratterizza per una forma ancipite e apparentemente contraddittoria: da una parte sta l’ostentazione di sfarzo e ricchezza, talora caricati in misura che oltrepassa il grottesco, che è il segno della “rispettabilità” di chi sta a capo del sodalizio delinquenziale; dall’altra, l’inabissamento di ogni tratto distintivo deviante in una dimensione di assoluto anonimato e segretezza. In una accezione “diastratica”, una ipotetica scala ascensionale delle gerarchie mafiose corrisponderebbe a una sempre più sfumata epifania delle caratteristiche macroscopicamente evidenti dell’agire criminale: letteralmente come un’alta montagna, la cui cima starebbe nascosta sotto una coltre di nubi, la dimensione estetica di Cosa nostra diviene insondabile in corrispondenza del suo vertice.
Il mafioso di piccolo calibro è tale poiché il suo personaggio è costruito secondo uno schema rilevante solo nella sua dimensione sociale: un apparato “iconografico” quasi del tutto inderogabile, che prescrive modelli di comportamento, di apparenza all’interno della comunità, di uso dell’immagine improntati al lusso, alla moda appariscente, al “timore” reverenziale che ispirerebbe la sua figura. Un grosso SUV scuro o una potente automobile sportiva, posto che di per sé sono oggetti onesti e del tutto innocui, nella creazione dell’immagine mafiosa si traducono in altrettanti attributi di potenza. Persino lo spazio privato del mafioso deve rendere visibile la sua auto-mitizzazione: il kitsch, l’esagerazione dei rubinetti d’oro o della profusione di decori in falso stile Luigi XV, disegnano l’utopia di un ambiente “imperiale” nel quale il mafioso si rispecchia come un monarca assoluto. 
Eppure, al culmine di quella ideale scala che conviene ascendere per immaginare il luogo più segreto del gusto mafioso, quel ciarpame d’un tratto scompare e con esso le mostruosità di quella estetica pervertita: tutto è spazzato via da un solo oggetto, un quadro, la Natività con i Santi Francesco e Lorenzo di Michelangelo da Caravaggio (1600?) rubata nella notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969 dall’omonimo Oratorio di Palermo. Il furto di quel dipinto, forse la più grave offesa subita dal patrimonio artistico italiano, non è solo un atto di sfida alla collettività alla vigilia della stagione stragista: è l’investimento di uno statuto simbolico su quell’oggetto, il cui possesso fa credere sia possibile mutare finanche il corso delle cose.


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