"Caravaggio a Siracusa 1608", recensione di Michele Cuppone


Esce per i tipi di Tyche Caravaggio a Siracusa 1608 di Paolo Giansiracusa che – nomen omen, verrebbe da dire – più di ogni altro fra gli studiosi locali ha rivolto la sua attenzione alla monumentale pala che l'artista lascio nella città aretusea. L'opera si presenta come un agile librino, dal formato e volume contenuti (96 pp.), scorrevole nella lettura e vivacizzato da un calzante apparato iconografico. 
L'autore ha così l’opportunità di portare a un pubblico più ampio quanto in sostanza edito in precedenti occasioni e raccolto ultimamente in versione ampliata negli atti, altrimenti non facilmente reperibili, delle giornate di studio del 2010 tenutesi alla chiesa della Badia, nel IV centenario della morte dell’artista. 
Il testo, al di là di ciò che può lasciare immaginare il titolo, è incentrato in una lettura critico-iconografica del Seppellimento di santa Lucia, più che in una narrazione intorno al soggiorno aretuseo di Merisi, su cui del resto non c’è molto da raccontare, stante le rare fonti disponibili. Eppure qualcosa di nuovo si era provato a dire, in una recente uscita (2013); Caravaggio siracusano di Katia Savarino, questo il titolo, era in sostanza la riedizione un po’ più aggiornata di una tesi di laurea del 2001, integrata in particolare dalla pubblicazione – a dire il vero poco chiara nella sua illustrazione – di un documento attestante rapporti fra Vincenzo Mirabella (l'intellettuale che accompagnò Caravaggio alla scoperta dei dintorni di Ortigia) e il senato cittadino, che secondo il biografo Susinno commissionò la pala su intercessione di Mario Minniti (per quest’ultimo, giusto un accenno nel libro). Questo nuovo elemento sembra andare in direzione della tesi, in controtendenza, lanciata da Ferdinando Bologna e sviluppata con nuove argomentazioni da Enzo Papa, secondo cui committente dell'opera sarebbe stato proprio Mirabella. 
Ma tornando al volume di Giansiracusa, la bibliografia pure qui si arresta ad anni non recenti: il 2010, coincidente con le giornate di studio di cui sopra. Non si tiene pertanto conto ad esempio – e forse non era intenzione approfondire il tema? – dello studio della fortuna copistica del Seppellimento, su cui vi ha scritto nel 2015 Salvina Buccheri consegnandoci anche una scoperta d’archivio. Più in generale, non si può fare a meno di notare un minore interesse al dato strettamente storico, ovvero è in modo ‘originale’ che talvolta si parte da esso. Ne è esempio la collocazione senza esitazioni nel novembre 1608, non supportata da documenti ancorché possibile, della fine del soggiorno siracusano per Caravaggio. O l'idea di collocare entro il 1599 il completamento della Vocazione di San Matteo – peraltro ritenendo che la scena si svolga "nella notte" e che il giovane a capotavola sia una "guardia svizzera" (per tutto questo, vedi il fresco Caravaggio. Il vero Matteo di Sara Magister). Oppure si veda l'avallo del mai attestato – e anzi ora (dal 2011) fortemente messo in dubbio – operato palermitano; tale aspetto andrà tuttavia giustificato se è l'autore stesso a comunicare a chi scrive (16 aprile 2018) di essere a conoscenza della questione e del parere che la stessa Natività di Palermo “non è siciliana” ma, "trattandosi di una breve citazione", si è "attenuto alla letteratura corrente". Altro si potrebbe commentare ma va sempre tenuto a mente che il testo, di fatto, è da considerarsi “chiuso” al 2010
Un punto su cui si pone un particolare accento, presentandola come una “straordinaria scoperta” e di conseguenza come la principale acquisizione, è la presunta derivazione della figura del chierico dall'immagine di Lucia nel polittico quattrocentesco della concittadina chiesa di San Martino. Questo offre a Giansiracusa una sponda a sostegno di una sua suggestiva ipotesi, secondo la quale l’ecclesiastico altri non sarebbe che Lucia rediviva, nel giorno del martirio coincidente appunto con il suo dies natalis. Che si possa o meno concordarvi, piace ricordare a tal proposito la proposta di Howard Hibbard, che vedeva nel gruppo dei dolenti un richiamo alle figure di Giovanni e Maria nelle Crocifissioni rinascimentali. A confortare quest’ultima considerazione, chi scrive coglie l’occasione per aggiungere che gli stessi colori dell’abbigliamento del cosiddetto diacono – manto (e non esattamente una meno ampia “stola”) rosso e veste, a ben guardare, verde – sono proprio quelli caratterizzanti la tradizionale iconografia di san Giovanni [...]

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