-La prima domanda che vorrei porti riguarda questo sviluppo molto rilevante che stanno prendendo le indagini diagnostiche nella lettura delle opere caravaggesche, di cui ultimo importante esempio è l’esposizione che ha chiuso recentemente i battenti a Palazzo Reale Dentro Caravaggio, ideata e curata da Rossella Vodret; certamente hai visto la mostra e letto il catalogo, dunque cosa ne pensi?
R: Prima di risponderti vorrei se mi consenti fare una veloce cronistoria riguardo alle mostre e alla diagnostica, perché in verità già dopo la prima famosa esposizione del 1951, anch’essa tenutasi com’è noto a Milano a Palazzo Reale, si era arrivati ad una impasse che spinse Roberto Longhi a porre il problema di analizzare le incisioni come metodo complementare per iniziare a riconoscere le opere di Caravaggio. Il passaggio successivo, certamente quello più importante se non vogliamo considerare le analisi che si venivano conducendo su singole opere, come ad esempio nel caso delle tele di San Luigi dei Francesi o della Medusa degli Uffizi, fu l’esposizione The Age of Caravaggio (Caravaggio e il suo tempo), che si svolse nel 1985 tra Napoli e New York, e che è stata fondamentale per far prendere coscienza del fatto che si dovesse valorizzare anche la lettura ‘tecnica’ nello studio dei dipinti del Merisi; partendo da lì, in effetti, Maurizio Marini e Mia Cinotti – due fra i più grandi esegeti dell’opera del genio milanese oggi scompars – iniziarono ad inserire delle cospicue parti dedicate al restauro nelle loro monografie; ecco quindi che i primi anni ’80 sono stati decisivi, davvero uno snodo basilare per virare verso un approccio compendiario dalla diagnostica allo stile e all’iconografia, e non a caso le indagini diagnostiche furono inserite anche nella mostra. E, se posso dirlo, anche la mia tesi di dottorato nacque da qui.
–Cioè? Di cosa trattava la tua tesi e con chi la realizzasti?
R: Il titolo, che riassume il contenuto, era La tecnica del Caravaggio: materiali e metodi, la sostenni alla Sapienza di Roma con Corrado Maltese, Maurizio Calvesi e Mina Gregori. Aggiungo che mi ero laureata con Ugo Procacci con una tesi prettamente documentaria e che per due anni dopo il dottorato sono stata diretta da Paola Barocchi alla Scuola Normale Superiore di Pisa per progetti di catalogazione informatica museale.
–Accidenti, un bel biglietto da visita!
R: Si, ho avuto la fortuna di avere maestri eccellenti, non potevo chiedere di più. Dopo la tesi di dottorato venne la mostra del 1991, Come nascono i capolavori, curata da Mina Gregori, dove ebbi un parte di rilievo e dove per la diagnostica proposi un metodo basilare di lettura (una scheda di rilevamento strato per strato, arricchita dai parametri tecnici) che è ancor oggi in uso. In seguito ci sono state altre iniziative ad opera di storici dell’arte di grande rilievo in Italia, come Claudio Strinati, Rossella Vodret, nonché di storici applicati allo studio della tecnica come Marco Cardinali e Maria Beatrice De Ruggieri, per un periodo insieme con Claudio Falcucci, o anche di esperte di restauro come Valeria Merlini e Daniela Storti insieme a Bruno Arciprete, Carlo Giantommasi, Donatella Zari. Tutto ciò lo rammento perché da qui ha preso corpo uno sviluppo considerevole di questo tipo di approccio metodologico, con una serie di iniziative su singole opere e studi molto approfonditi. C’era però un limite, e cioè che tutto quanto veniva studiato e riscontrato avveniva su singoli dipinti e raramente si potevano effettuare dei confronti incrociati. Il lavoro svolto rimaneva fine a sé stesso. Questo, possiamo dire, fino al 2010 quando, in occasione della grande esposizione romana del Quattrocentenario della morte dell’artista, il Comitato Nazionale finanziò ulteriori analisi scientifiche; avrebbero dovuto essere pubblicati degli studi a riguardo, tra cui i miei sull’ottica, ma non se ne è fatto più nulla per mancanza di fondi [...]
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