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"Palermo, l’arte al tempo della guerra. E il Caravaggio rubato che (già) non c’era", di Michele Cuppone

Una mostra sull'arte durante la guerra a Palermo è occasione per ripercorrere la storia della 'Natività' di Caravaggio in quegli anni e in quelli immediatamente successivi, nonché la storia di Filippo Meli, il sacerdote che se ne prese cura fino al 1965



È stata prorogata fino all’8 aprile la mostra fotografica e documentale La Guerra dell’Arte, a Palermo presso il Convento della Real Magione. Il titolo, che parafrasa “L’arte della guerra” di Sun Tzu, stigmatizza come le opere d’arte abbiano da sempre combattuto per poter giungere, illese, sino ai giorni nostri. Come scrive il curatore Attilio Albergoni, “le fotografie esposte provengono da vari archivi esteri e nazionali ma sembrano immagini scattate da un solo uomo, quasi che la guerra a Palermo fosse vissuta da un essere solo”.
Ed è davvero toccante ciò che si presenta agli occhi del visitatore e che resta impresso nel ‘catalogo’ (fuori commercio) realizzato dalla Regione Siciliana, per i tipi di Navarra Editore. Il capoluogo isolano fu particolarmente martoriato dalle incursioni aeree avvenute nel corso del 1943, e se il ‘tributo’ in termini di vite umane e più in generale per la città fu ingente, molte opere d’arte poterono d’altro canto salvarsi grazie a una lungimirante operazione di prevenzione. Esemplare è la foto dell’oratorio del Rosario in San Domenico, dove si vede la ben collaudata opera di puntellamento, consolidamento e messa in sicurezza di statue e pavimentazione attraverso assi di legno e sacchi di sabbia. La pala d’altare del Van Dyck risulta assente; così come altri dipinti, sculture e vari oggetti di pregio provenienti dal territorio e che furono portati in un ricovero – i più in località San Martino delle Scale, alle pendici dei monti che circondano la città.
Questa foto mi ha riportato alla mente una lettera consultata giusto un anno fa, custodita presso l’Archivio Storico della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Palermo (class. II D.75, prot. 217 del 5-2-1948). A scrivere, all’allora soprintendente alle Gallerie della Sicilia Filippo Di Pietro, è il rettore dell’oratorio di San Lorenzo, don Filippo Meli. Eccone il contenuto:


Palermo 
3 febbr. 1948 
Egr. Prof. Di Pietro, 
Le comunico che da parte di Sua Em. il Sig. Cardinale Ruffini è stato restituito il dipinto del Caravaggio a questo Oratorio di San Lorenzo. La prego quindi di esser gentile ad inviare due persone capaci per potere rimettere a posto dovuto il suddetto prezioso dipinto – perché non voglio responsabilità. 
Con molti distinti ossequi
Suo dev.mo 
Sac. Filippo Meli

Mi sono sempre chiesto il motivo per cui la Natività, come si deduce, era stata temporaneamente fuori dalla sua dimora abituale, dove vi faceva rientro in quei primi mesi del 1948. Una mostra? Non poteva essere: il quadro fu esposto soltanto a Milano nel 1951 e a Parigi nel 1965. Ecco ora che, ricollegando i dati disponibili e approfondendo il tema (vedi La protezione del patrimonio artistico nazionale dalle offese della guerra aerea, Firenze 1942, p. 339), tutto diventa più chiaro. La tela, durante la guerra, fu spostata in luogo più sicuro e non senza difficoltà, legate al suo alloggiamento nella cornice con angeli in stucco del Serpotta (da cui, come visto, la richiesta di “persone capaci”). Sarebbe poi tornata in situ – dopo un passaggio presso l’Arcivescovado – una volta terminati i restauri dell’oratorio (che subì danni nel bombardamento del 15 febbraio 1943). Restauri, che dovevano fare i conti con la lunga e più generale ricostruzione del centro cittadino.
Tornando alla lettera, da essa emerge tutta la premura da parte di Meli per il “prezioso dipinto” che, come rettore di San Lorenzo, in lui trovò un geloso custode (fino alla morte avvenuta nel 1965). Meli, è ricordato anche come infaticabile studioso e ricercatore – fu lui peraltro a ritrovare il documento con cui Paolo Geraci si impegnava a dipingere una copia della Natività, identificata molti anni dopo nell’ufficio del prefetto a Catania (e cui ora si aggiunge un’altra copia: se ne parla nel fascicolo 9 della rivista “Valori Tattili”) [...]

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