Recensione alla mostra caravaggesca in corso presso Palazzo Barberini, aperta fino a domenica 16 luglio.
Nel tedio favorito dal solleone di questo rovente inizio d’estate 2017, nonostante l’ormai cronica limitatezza delle risorse disponibili per qualsivoglia manifestazione espositiva di buon livello, è arrivata la fresca novità di una mostra singolare dedicata a Caravaggio nel patrimonio artistico del F.E.C. Il Doppio e la Copia. L’esposizione curata da Giulia Silvia Ghia e Claudio Strinati è aperta al pubblico a Roma dal 22 giugno, dal martedì alla domenica, dalle ore 8.30 alle 19, e chiuderà i battenti il 16 luglio prossimo.
La rassegna, che conta pochi dipinti – per l’esattezza quattro – riveste però un’importanza inversamente proporzionale al numero esiguo; è ospitata nelle sale di Palazzo Barberini, cioè nella dimora istituzionale di una delle più belle, ricche ed invidiate Gallerie Nazionali d’Arte Antica. Si tratta infatti dell’ex splendida residenza di Papa Urbano VIII (al secolo Maffeo Barberini), che fu riedificata nel cuore della Capitale su progetti di Carlo Maderno, Francesco Borromini e Gian Lorenzo Bernini; la medesima reggia da fiaba da cui Audrey Hepburn, indimenticabile protagonista femminile di Roman Holiday, fuggiva nottetempo per esigenze cinematografiche per andare ad assaporare la mejo dolce vita capitolina, vagabondando per la Città Eterna nascosta in un’Ape, alla guida di una Vespa e a piedi.
Andrà ricordato che la sigla F.E.C. corrisponde al benemerito Fondo per gli Edifici di Culto con sede presso il Ministero dell´Interno, da dove viene gestito con estrema oculatezza un ingente patrimonio artistico, distribuito su tutto il territorio peninsulare, e composto da più di ottocento basiliche, chiese, cappelle e beni immobiliari di vario genere, tra i quali innumerevoli opere d’arte, per lo più sconosciute al pubblico. L’esposizione di Palazzo Barberini vuole dunque festeggiare degnamente i trent’anni della gloriosa istituzione, i cui albori risalgono addirittura alle prime leggi di tutela che vennero promulgate dal Regno d´Italia.
La rassegna presenta perciò alcune opere appartenenti al F.E.C. di considerevole valore culturale poiché legate al nome del sommo Michelangelo Merisi da Caravaggio, ossia due San Francesco in meditazione, l’uno proveniente dalla chiesa di San Pietro di Carpineto Romano (attualmente in deposito presso la Gallerie Nazionali di Arte Antica di Palazzo Barberini), l’altro dal Museo dei Cappuccini (proveniente dalla Chiesa dell’Immacolata Concezione, meglio conosciuta a Roma come la Chiesa dei Cappuccini), e due Flagellazioni di Cristo, quella di San Domenico Maggiore a Napoli (in deposito a Capodimonte) e la sua copia della medesima chiesa partenopea.
L’incontro ravvicinato tra dipinti che solitamente sono distribuiti in sedi differenti e lontane l’una dall'altra, dà un’occasione irripetibile a tutti i “caravaggio-dipendenti” sparsi nel mondo per avere agio di confrontare da vicino questo nucleo di opere importanti, poste eccezionalmente l’una accanto all'altra, così da potersi cimentare sul campo sdrucciolevole del più sottile attribuzionismo caravaggesco.
È ovviamente altrettanto interessante il catalogo della mostra, edito da Gangemi Editore e curato da Giulia Silvia Ghia e Claudio Strinati, che ha consentito ad un pool di storici dell’arte, esperti di varie discipline e technical art history – comprendente Bruno Arciprete, Marco Cardinali, Claudia Castagnoli, Dora Catalano, Laura Caterina Cherubini, Michele Cuppone, Maria Teresa de Falco, Maria Beatrice De Ruggieri, Giulia Silvia Ghia, Carlo Giantomassi, Alessandra Imbellone, Ida Maietta, Giuseppe Porzio, Claudio Strinati, Francesco Vernicchi e last but not least Rossella Vodret – di studiare non solo le quattro opere presenti in mostra, ma anche le loro molteplici connessioni con la sublime arte caravaggesca, utilizzando ampiamente i risultati ottenuti con le più evolute indagini di laboratorio.
I saggi all’interno del catalogo, seguendo il loro ordine di apparizione a stampa, sono innanzitutto quello opportunamente introduttivo della curatrice dell’esposizione, Giulia Silvia Ghia, dal titolo Il senso della mostra; poi l’intenso Riflessioni sull’iconografia dei capolavori esposti di Claudio Strinati, che confuta con sottile acume, mescolato ad un’asprigna punta di “amarezza”, le più scontate letture iconografiche e propone, “seppure in senso lato”, un novello legame tra l’invenzione figurativa caravaggesca del Ragazzo che sbuccia un frutto e quella dell’“amleticamente atteggiato” S. Francesco in meditazione; segue “Il San Francesco in piedi del Caravaggio” nello spoglio tra fonti antiche e moderne di Michele Cuppone (che è anche il curatore della bibliografia in catalogo), in cui viene giustamente rivendicata l’importanza dei librai di piazza Navona e delle antiche guide di Roma, che riservano ancora qualche sorpresa anche per la sterminata bibliografia merisiana, dandoci così conferma di come lo studioso abbia ben meritato i galloni della credibilità scientifica guadagnati anche sul campo della ricerca storico-artistica; “Copiare da altre pitture”. Metodi di copiatura nel Seicento secondo la letteratura artistica e qualche verifica sulle opere di Caravaggio e dei Caravaggeschi è il titolo dello studio approfondito di Maria Beatrice De Ruggieri, una disamina scrupolosa sui differenti metodi di ricopiatura e le tracce che essi hanno lasciato sui dipinti; conclude la serie di saggi quello di Marco Cardinali, ovvero Le copie da Caravaggio tra connoisseurship, critica d’arte e technical art history – su cui aleggia lieve lo spirito di Maurizio Marini –, da segnalare per la lucida meticolosità della ricerca ben condotta e che, nonostante la complessità del tema trattato, coinvolgere il lettore con una suspense incalzante, degna di un bravo giallista epigono di Mikey Spillane [...]
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