Presentazione di "Caravaggio 1951" di Patrizio Aiello, il 2 dicembre a Roma




Lunedì 2 dicembre alle ore 18.00 verrà presentato il volume Caravaggio 1951, di Patrizio Aiello, che ripercorre la storia e la fortuna critica della grande mostra di Roberto Longhi a Palazzo Reale.

Grazie al rinvenimento di una campagna fotografica condotta nella primavera di quell’anno tra le sale di Palazzo Reale, il volume, edito da Officina Libraria e con le prefazioni di Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, intende indagare le ragioni del grande successo della mostra, più di quattrocentomila persone in soli tre mesi. Un successo «eccezionale, incredibile» come ebbe a dire lo stesso Roberto Longhi, che della mostra fu commissario tecnico. Ragioni che sono da individuare certamente nella straordinarietà del pittore, ma anche nelle caratteristiche dell’esemplare allestimento, poco conosciuto, se non nelle linee generali.

Attraverso questo volume è possibile ricostruire la genesi della mostra, i suoi ambienti e le personalità coinvolte con i rispettivi ruoli e gli inevitabili scontri che hanno agitato le riunioni del comitato organizzatore (uno su tutti, non certo inatteso, quello tra Longhi e Lionello Venturi).

 Alla presentazione del volume interverranno Luigi Ficacci, direttore dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, Francesca Cappelletti dell’Università degli studi di Ferrara e l’autore del libro Patrizio Aiello. Modera Anna Coliva, direttore della Galleria Borghese.


Presentazione del volume Caravaggio 1951
-        Lunedì 2 dicembre, ore 18.00
-        Galleria Borghese, ingresso presso la tensostruttura posta sul retro del Museo
-        Per confermare la propria partecipazione o ricevere informazioni scrivere al seguente indirizzo: ga-bor.comunicazione@beniculturali.it
-        Ingresso libero fino ad esaurimento posti
(fonte: comunicato Galleria Borghese)

link:


Il celebre ciclo pittorico di Caravaggio dedicato a San Matteo è on line su Haltadefinizione

Le tre tele che ritraggono San Matteo e l'Angelo, il Martirio di San Matteo e la Vocazione di San Matteo sono ora disponibili su Haltadefinizione.com, in risoluzione gigapixel, per studiosi e appassionati.



Alla ricca galleria di immagini di opere d'arte già disponibili in altissima definizione su Haltadefinizione.com, si aggiungono da oggi i tre illustri capolavori di Caravaggio. La Chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma custodisce numerose opere, ma è famosa in tutto il mondo per la Cappella Contarelli: l'ultima cappella della navata sinistra è un vero e proprio scrigno che conserva al suo interno le tele dedicate a San Matteo.

Eseguite tra il 1599 e il 1602, sono disposte a partire dalla parete sinistra, con la Vocazione di San Matteo, San Matteo e l'Angelo nella parete centrale e il Martirio di San Matteo sulla destra, seguendo un preciso impianto tematico. Questa importante commissione fu per Caravaggio il primo incarico pubblico, per il quale per la prima volta si trovò davanti alla realizzazione di opere di grande formato.

Nonostante i tempi strettissimi per l'esecuzione, il risultato finale fu sorprendente. Tutto il ciclo pittorico è costruito tra chiaroscuri e prospettive ardite, un connubio che rende la Cappella Contarelli una vera meraviglia della Roma seicentesca.

Per la prima volta, grazie alle tecnologie di Haltadefinizione, le tre tele di proprietà dei PIEUX ETABLISSEMENTS DE LA FRANCE A ROME ET A LORETTE (Pii Stabilimenti della Francia a Roma e Loreto) potranno essere osservate come mai fatto prima (fonte: Haltadefinizione.com)

link:


Vittorio Sgarbi: La "Natività" di Caravaggio non è perduta per sempre


Dopo la ricostruzione della Commissione parlamentare antimafia sul furto della Natività di Palermo,  a cinquant'anni dal crimine commesso, inaspettatamente ora si fanno sentire versioni alternative (e qualche perplessità). Quella che segue si aggiunge a quanto dichiarato dai pentiti Franco Di Carlo (linkVincenzo Calcara (link) e Gaspare Mutolo (link), dal Presidente degli Amici dei Musei Siciliani Bernardo Tortorici, dall'investigatore Charles Hill (link) e dal detective Arthur Brand (link).




La tela, trafugata nel 1969, probabilmente è ancora intatta. Cosa si fa per recuperarla?

Da molti anni si parla del furto più clamoroso e più doloroso che sia mai stato compiuto: la Natività di Caravaggio dall'Oratorio di San Lorenzo a Palermo. Studiosi, magistrati, carabinieri, poliziotti, narratori si sono esercitati su questo furto, sulla responsabilità della mafia, sulla distruzione del quadro, senza mai trovare una pista e avere una certezza sul suo destino.
Essendo a Palermo, una leggenda prevalente fu che si sia trattato di un furto di mafia. Piace molto crederlo, ma nel 1969 gli stessi studi sul Caravaggio erano arretrati, e ancora nella fase romantica della grande riscoperta storica, dovuta soprattutto a Roberto Longhi che era vivo al tempo del furto (morirà nel 1970). Come sappiamo poco della scomparsa del dipinto, sappiamo infatti poco anche della sua esecuzione, che non sembra più risalire al soggiorno siciliano di Caravaggio nel 1609. È Giovanni Pietro Bellori che lo dice eseguito per la compagnia dei Bardigli e dei Cordiglieri. Più recentemente Alfred Moir, seguito da Maurizio Calvesi, arretra l'esecuzione del capolavoro al tempo d'oro di Caravaggio, a Roma nel 1600, quando Fabio Nuti gli commissiona un dipinto di palmi 12 per 7 o 8, misure sostanzialmente congruenti con quelle del quadro. L'ipotesi è confermata, al di là dello stile e delle caratteristiche tecniche della tela, più vicini ai quadri dipinti a Roma che non a quelli siciliani di Siracusa e Messina, dagli approfondimenti convincenti di Michele Cuppone. La tesi, accolta dai più attenti studiosi, porta ad escludere che Caravaggio sia stato a Palermo durante il soggiorno siciliano, raggiungendo Napoli e poi Porto Ercole direttamente da Messina.
Il furto si consumò nella notte fra il 17 e il 18 ottobre, senza alcuna difficoltà, in assenza di qualsiasi misura di sicurezza, da parte di ragazzi improvvisati e inesperti. Fu scoperto solo alle 3 del pomeriggio del giorno successivo e, da allora, non si è avuta nessuna notizia attendibile sul suo destino. Essendo in perfette condizioni di conservazione, dopo il restauro del 1951 che ci ha lasciato anche le buone fotografie a colori da cui è stata derivata la replica eseguita da Adam Lowe, su richiesta dei due miei assessori a Salemi, Peter Glidewell e Bernardo Tortorici, così ben condotta da ingannare l'ignaro visitatore, è difficile pensare che chi l'ha rubata, tagliandola con una lametta dal telaio, e pure arrotolandola dal verso sbagliato, cioè quello del colore, l'abbia ammalorata al punto da rovinarla. Questo rende poco credibile una prima versione che la dice seppellita nelle campagne di Palermo, insieme a cinque chili di cocaina e ad alcuni milioni di dollari, dal narcotrafficante Gerlando Alberti, da me interrogato in carcere. Tra l'altro, nel luogo indicato dal pentito Vincenzo La Piana, nipote di Alberti, la cassa di ferro con la tela non fu trovata. Nel 1980 lo studioso giornalista Peter Watson disse di essere in contatto con un mercante di arte che gli propose il dipinto a Laviano, in provincia di Salerno. Ma l'incontro con i ricettatori, la sera del 23 novembre di quell'anno, coincise con il terremoto dell'Irpinia, e dunque saltò.
In questa confusione di notizie, devastante fu la millantata e imprecisa confidenza a Giovanni Falcone del pentito Francesco Marino Mannoia, che disse di essere uno degli autori materiali del furto e che l'opera si sarebbe danneggiata, al punto di suggerirne la distruzione. Ma, nonostante l'ignoranza, anche l'ultimo mafioso ne avrebbe salvato alcune parti, fra i tanti personaggi, magari tagliandola. Il Nucleo tutela patrimonio artistico dei Carabinieri accertò poi che il furto di cui parlava Mannoia riguardava un altro quadro [...]

"Caravaggio: dentro e intorno": seminari con Rossella Vodret, Alessandro Zuccari, Stefano Causa e Francesco Zucconi a Udine

Ciclo di Seminari della Fondazione Ado Furlan Caravaggio: dentro e intorno nell'ambito del corso del dottorato di ricerca storia dell'arte, cinema, media audiovisivi e musica, coordinato dal prof. Alessandro Del Puppo.


Sgarbi risponde alle nuove ipotesi iconografiche sulla "Natività" di Palermo: «Quello non è Satana che tenta san Giuseppe»

Il critico d’arte: il pastore è solo un ignorante invitato a comprendere l’identità divina di Gesù

Vittorio Sgarbi risponde all'ipotesi lanciata dal teologo don Mario Torcivia, nell'ambito del convegno "Caravaggio#50", di vedere nel pastore della Natività di Palermo un richiamo a una figura che tenta il san Giuseppe di spalle. Il Giornale di Sicilia del 6 novembre ha dedicato un'intera pagina al tema, prima intervistando Torcivia e poi chiedendo a Vittorio Sgarbi un'opinione, che si riporta a seguire.
Si ringrazia l'autrice Antonella Filippi per aver messo a disposizione i materiali.


Non vedo alcuna possibilità di introdurre nella «Natività» caravaggesca elementi di tentazione. E perché poi? Sarebbe l’unica iconografia cervellotica in cui uno sconosciuto è un tentatore. Al contrario, è un’esegesi divina: si invita un pastore ignorante a cercare di comprendere il mistero della fede e dell’identità divina di Gesù». Vittorio Sgarbi non è d’accordo con l’interpretazione che propone il pastore/demonio tentatore.
Perché no?
«Mi sembra un’interpretazione priva di ogni fondamento. San Giuseppe è la parte più originale del dipinto per ché si mostra di spalle, in una maniera fotografica alla Cartier-Bresson, fautore dell’istante decisivo. E, indicando orgogliosamente il bambino, sembra dire: Guarda, cosa abbiamo fatto. Il suo dialogo con un vecchio pastore con la barba e il cappellaccio tutto può essere meno che un’allegoria del demonio o della tentazione».
Ma allora chi è l’uomo col cappellaccio e cosa ha a che fare con la scena della natività?
«È un uomo semplice, un pellegrino che arriva a cui, ripeto, san Giuseppe mostra il bambino. È una persona che potrebbe non sapere di cosa sia successo e viene richiamato da san Giuseppe alla maestà divina. Quindi è esattamente l’opposto, è un dialogo rovesciato: è ostentazione alta e spirituale di un neonato, mentre il vecchio con aria meditativa appoggia la testa al bastone e guarda. Accanto a lui potrebbe esserci, nonostante la tunica complessa, san Francesco che prega, concentrato: inserire il demonio tra lui e san Giuseppe è un’idea priva di supporto, di cui non s’avverte neppure la necessità. La presenza di due santi, san Lorenzo e san Francesco indica una accentuazione di spiritualità, l’elemento negativo non serve».
C’è una particolarità che la sorprende in questo sventurato dipinto?
«L’unica cosa che stupisce, ed è davvero sorprendente, è la nuca di Giuseppe con i capelli corti e bianchi, unica traccia per intendere che san Giuseppe è più vecchio della Vergine. È però evidente che lui sta lì, accoccolato, e il gesto della mano è un invito a guardare e a capire».
Neppure la possibilità che in quel quadro ci possano essere san Rocco o san Giacomo e non un semplice pastore la entusiasma?
«È evidente che essendo un’adorazione, almeno un pastore era necessario. San Lorenzo e san Francesco, legati all’oratorio, hanno preso il posto dei due pastori, dunque almeno un pastore era d’obbligo. Un bambino appena nato non suscita stupore o meraviglia – ne nascono sempre – è proprio l’esegesi di Giuseppe che fa intendere al pastore di essere davanti a qualcosa di straordinario che meritava la chiamata dell’angelo che indica il rapporto tra il bambino e il cielo. Siamo di fronte a una scena di natività, cercare un ulteriore significato sarebbe deviante. Tentare chi, poi? Nessuno ha mai tentato San Giuseppe».
È pur vero che generare alla sua età…
«Ma che gli vuoi dire? Quello è un mistero divino».

link:


"La Deposizione di Caravaggio: il sepolcro, due piante, una morta e l’altra fogliata, e la pietra che riproduce quella dell’altare", di Andrea Lonardo


N.B. Le tre notazioni fortemente proposte da questo articolo si devono ad un dialogo con la storica dell'arte Sara Magister che le ha suggerite



1/ Il vano della tomba nella Deposizione di Caravaggio
Se si guarda la Deposizione di Caravaggio dal vero ai Musei Vaticani, ecco che appare sulla sinistra, in alto, il vano della tomba. I personaggi dipinti da Caravaggio stanno trasportando il Cristo nella tomba che non è in basso, bensì oltre la testa del Cristo. La pietra su cui stanno camminando è quella che sigillerà tale sepolcro: non è dunque, assolutamente una “pietra dell’unzione”.

2/ Le due piante
Lo spazio che si apre in basso è, dunque, pensato dal Merisi non come sepolcro, ma come campo antistante. Lì vi ha dipinto due piante e non una sola, come afferma invece chi non ha mai visto il quadro da vicino.
A destra sta una pianta ormai morta, con foglie reclinate, a sinistra, invece, una pianta ben viva, vigorosa. Le due piante sono evidentissime anche nella copia ottocentesca che è nella Chiesa Nuova a sostituire la tela originaria prima derubata dai rivoluzionari francesi e poi trasferita in Vaticano.
Il segno, pur essendo semplice, è chiarissimo e conforme all’iconografia tradizionale del sepolcro e della resurrezione. Con la morte di Cristo si sta passando dalla morte alla vita – si pensi solo ai rami secchi e poi fogliati della Resurrezione di Piero della Francesca.
Il riferimento a tale tradizione onnipresente nell’arte anteriore a Caravaggio è assolutamente indubitabile poiché il sudario/sindone del Cristo, splendido nella sua luce bianca, tocca la pianta viva.

3/ La pietra tombale e la pietra d'altare
Un ulteriore elemento appare decisivo se appena si guarda l’opera non nella sua sistemazione museale, bensì nel vivo della Cappella Vittrici per la quale è stato concepito dal Merisi. Il critico d’arte abitualmente afferma che lo sguardo di Nicodemo (o di Giuseppe d’Arimatea, poco importa) è rivolto allo spettatore per invitarlo ad “entrare” nel quadro stesso, poiché si dimentica che l’opera è posta su di un altare.
Se si osserva la copia che è nella Chiesa Nuova, esattamente dove era la tela originaria del Caravaggio, ci si accorge che lo sguardo non invita ad entrare nel quadro, bensì nella celebrazione liturgica che si svolge sull’altare che è appena sotto la tela.
Solo una critica d’arte che prescinda dalla visione reale e viva delle opere e dal loro contesto può pensare che il principale intento di essa sia entrare nella “scena”. Ma tale critica ha perso la sua scientificità, proprio perché non utilizza il contesto storico e architettonico, bensì separa l’opera dal suo tempo
Il braccio stesso del Cristo che pende come peso morto si rivela, allo stesso tempo, un segnale indicatore: la mano invita a guardare all’eucarestia che viene consacrata appena sotto. 
La grande lastra che chiuderà per tre giorni il sepolcro, a sua volta, non è semplicemente se stessa, ma rimanda alla pietra dell’altare che è a pochi centimetri. Nell’altare della Cappella Vittrici la pietra d’altare è di un unico blocco, come un parallelepipedo, in tutto simile a quella del dipinto
Il sacrificio che si è compiuto una volta per sempre e che è rappresentato nella tela, si compie ogni volta che il sacerdote celebra la messa su quella stessa pietra ormai divenuta altare
La tela è pensata per essere contemplata non solo quando la Cappella Vittrici fosse vuota, ma soprattutto quando le persone vi si fermavano a lungo, per l’intera celebrazione, con il sacerdote che eleva l’ostia consacrata.

link: