"Così le 'Sette opere' di Caravaggio tornarono al Pio Monte della Misericordia nel 1991", di Antonio Ferrara



Quando Stefano Renna, era il 15 febbraio del 1991, immortalò la scena, difficilmente poteva immaginare che 28 anni dopo attorno alla "movimentazione" del capolavoro di Caravaggio si sarebbe scatenata una disputa accesa. A vedere le belle foto in bianco e nero di Renna, si resta colpiti innanzitutto dalla naturalezza con la quale i portatori in jeans e maglione maneggiano la tela, portandola a spasso nel cuore dei Decumani. E, come tutti i trasporti che si rispettano, ecco la sosta, con il quadro poggiato a terra, e una donna che passa con le borse delle spesa in mano a pochi passi dall'angelo caravaggesco "precipitato al suolo". Il capolavoro di Merisi fece rientro al Pio Monte nel febbraio del 1991. "Dopo il terremoto del 1980 - ha scritto il direttore del Mibac Gino Famiglietti nel negare il prestito al Museo di Capodimonte per la mostra "Caravaggio Napoli" che apre il 12 aprile a cura di Cristina Terzaghi e Sylvain Bellenger - il dipinto venne trasferito per motivi cautelari al Museo di Capodimonte, ove rimase fino al 1991, quando fece ritorno nella chiesa di via dei Tribunali nel frattempo messa in sicurezza", soprintendente ai beni artistici Nicola Spinosa. Immagini oggi impensabili da vedere: il trasporto di opere d'arte (vedesi la mostra su Canova) segue ormai altri standard. "La cosa che mi colpì - racconta Stefano Renna che sta dedicando molto cura alla sistemazione degli archivi fotografici - fu la semplicità con la quale l'opera fu trasportata dagli operai nei vicoli dei Tribunali e poi collocata in chiesa, a differenza di oggi, nonostante le tante innovazioni tecnologiche disponibili". Quei volti del popolo napoletano che Caravaggio colse durante il suo soggiorno nel 1606 a Napoli ritornavano tra le strade del centro storico, in qualche modo restituendo semplicità e naturalezza all'opera del grande pittore, che tornava così tra la gente. Le foto in bianco e nero colgono quel momento incredibile, in una città che 28 anni dopo non ha più (forse) la stessa leggerezza. Il dipinto viene portato lungo via Tribunali e fatto entrare al Pio Monte dal cancello sul loggiato che si apre su piazza Riario Sforza. Da qui, attraverso la porta lignea venne fatto entrare nella chiesa e adagiato sul pavimento. L'edifico sacro era stato restaurato. E il capolavoro poteva tornare al suo posto. Gli addetti con due scale e un ponteggio montato dietro l'altare predisposero il supporto. Altri portarono la tela, la sollevarono e poi, con agilità, la agganciarono alla parete. Dove restò per altri dieci anni, quando fu riportata a Capodimonte per il restauro realizzato da Bruno Arciprete ed esposto nella mostra "Caravaggio. L'ultimo tempo", che si concluse il 23 gennaio 2005. "Le sette opere di misericordia" da allora sono al loro posto nella chiesa della pia organizzazione. Racconta Renna: "Il mio dialogo con Caravaggio avvenne per me e tanta gente comune nei vicoli di Napoli con semplicità. Provo a chiedermi come si sentirono tanti napoletani trovandosi al cospetto del grande Merisi. C'era una semplicità che oggi è così difficile da trovare a causa di beghe politiche, cambi di poltrone e litigi a discapito della nostra città. Rendere fruibile il nostro ricco patrimonio culturale e di arte favorirebbe oltre alla crescita del turismo, che già è in atto, anche un maggiore sviluppo sociale" (fonte: la Repubblica Napoli.it).

La "Canestra di frutta" va a Palazzo Reale per la mostra “Il meraviglioso mondo della natura. Una favola tra arte, mito e scienza”

Dal 13 marzo al 14 luglio 2019, una singolare esposizione celebra la bellezza della natura in tutta la sua complessa varietà lungo un arco cronologico che va dal Quattrocento al Seicento

MILANO - Sarà una “foresta” di lettere illuminate, dove si potranno ascoltare suoni ed echi della natura, a introdurre il pubblico alla mostra “Il meraviglioso mondo della natura. Una favola tra arte, mito e scienza”
Si tratta di una esperienza a 360 gradi, immersiva e coinvolgente, grazie ai contenuti multimediali e alle suggestive videoproiezioni, il cui fulcro è però la ricostruzione del Ciclo di Orfeo, uno dei più singolari complessi figurativi del Seicento in Italia, allestito nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale. Il ciclo, con le sue 23 tele, alcune di notevoli dimensioni, rivive grazie a uno speciale allestimento, frutto di studi recenti e del recupero di antiche testimonianze visive e documentarie. Commissionato da Alessandro Visconti intorno al 1670 e ospitato in Palazzo Sormani dal 1877, era qui giunto fortemente manomesso, dopo essere stato smontato da Palazzo Visconti (poi diventato Lunati, e infine Verri) per il quale era stato realizzato. Nella Sala delle Cariatidi lo si potrà ammirare secondo l’antico assetto e la verosimile sequenza originaria. 
L’appuntamento di Palazzo Reale, a cura degli storici dell’arte Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, con le scenografie di Margherita Palli, ricade nelle celebrazioni per i 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci. La natura si farà spazio in mostra anche attraverso l’osservazione diretta di oltre 160 esemplari di mammiferi, rettili, uccelli, pesci e invertebrati in arrivo dal Museo di Storia Naturale, dall’Acquario di Milano e dal MUSE di Trento. 
Il percorso verrà introdotto da un prologo che presenterà agli ospiti un famoso codice tardogotico lombardo, l’Historia plantarum della Biblioteca Casanatense di Roma, con centinaia di illustrazioni dal mondo delle piante e degli animali. Una pagina del codice, con l’immagine di un gatto, dialogherà con un disegno di Leonardo da Vinci della Biblioteca Ambrosiana. 
Un'altra sala ospiterà invece la Canestra di frutta del Caravaggio e il Piatto metallico con pesche di Giovanni Ambrogio Figino - che si mostreranno al visitatore in tutta la loro distanza espressiva. 
Il progetto espositivo è stato realizzato dalle diverse istituzioni culturali della città, dalla Biblioteca Sormani a Palazzo Reale, dal Museo di Storia Naturale alla Galleria d’Arte Moderna, al Castello Sforzesco, alle cui raccolte appartengono le tele del Ciclo di Orfeo
Vademecum 
Dal 13 Marzo 2019 al 14 Luglio 2019
Milano Palazzo Reale 
piazza Duomo 12 
ORARI: 9.30-19.30; lunedì 14.30-19.30; giovedì e sabato 9.30-22.30. Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura Biglietto: intero € 14, ridotto € 12, speciale € 6, Abbonamento Musei Lombardia € 10. Gratuito minori di 6 anni, guide turistiche abilitate con tesserino di riconoscimento, un accompagnatore per ogni gruppo, due accompagnatori per ogni gruppo scolastico, un accompagnatore di un disabile che presenti necessità, giornalisti accreditati dall'Ufficio Stampa del Comune o dall'ufficio stampa della mostra, dipendenti della Soprintendenza ai Beni Paesaggistici e Architettonici di Milano, tesserati ICOM 
Prevendite: +39 02 54912 
Info: +39 02 88445181 
(fonte: comunicato)

Bellenger: "La mostra su Caravaggio si farà, Nonostante il no alle Sette Opere di Misericordia, non deluderemo Napoli

Il direttore del Museo di Capodimonte dopo il divieto di prestito del capolavoro del Pio Monte della Misericordia denuncia "un blocco contro la collaborazione istituzionale"


"Spiegheremo cosa manca, come lo faremo sarà una sorpresa, e inviteremo le persone ad andare al Pio Monte per vedere come Napoli celebrò Caravaggio 40 anni dopo la sua morte". Il direttore del Museo di Capodimonte Sylvain Bellenger non si arrende e conferma: "La mostra si farà". 
Il ministro Bonisoli interverrà dopo il no di Famiglietti [nuovo direttore generale del Mibac, ndC400]? 
"Il ministro forse è come noi sorpreso da questa decisione. Mostra grande attenzione per il museo e il Bosco . Nonostante le accuse alla riforma Franceschini di aver rotto il rapporto tra territorio, musei e soprintendenze, Capodimonte ha costruito un fortissimo legame con il territorio. Il prestito delle "Sette opere" era stato sostenuto da tutti i musei di Napoli, dal sindaco, dalla Curia e dalle strutture culturali civiche".
Direttore, che giudizio ne ricava? 
"Questa decisione potrebbe dare un segno di paralisi e di blocco ala collaborazione istituzionale. È un danno per la città. Noi non cadremo in questa trappola e continueremo a lavorare insieme. Il 28 marzo apriamo una mostra su Jan Fabre in quattro Istituzioni culturali storiche della città : Capodimonte, il museo Madre, il Pio Monte e la galleria Trisorio". 
Famiglietti parla di spostamento rischioso, la tela è molto in alto. Possibile che nel 2019 non ci siano tecniche per spostare un quadro senza rischi? 
"Per questo abbiamo proposto un'impalcatura. Ci sono tecnologie e grande competenze umane per farlo. La ditta che spostò il quadro nel 2004 a Capodimonte è ancora la stessa che lavora con noi. La funzionaria storica dell'arte di grande esperienza che segue Il progetto di trasferimento l'ha già seguito 15 anni fa . Il progetto che abbiamo studiato con la Soprintendenze è preciso, ben studiato da grande professioniste che mantengono sempre grandissima attenzione. Siamo sottoposti a rischi ogni giorno aprendo il museo al pubblico spesso con una sorveglianza notoriamente insufficiente e movimentiamo opere d'arte con attenzione frequentemente. Con il prestito di "Parade" di Picasso , una pittura d'una grandissima fragilità di 20 x 17 metri il Pompidou centre di Parigi ha dato fiducia alle nostre capacità, mentre l'Italia non le riconosce agli italiani. Il nostro progetto era molto sicuro. Per 5 minuti abbiamo pensato di cancellare, ma Napoli aspetta la mostra e non vogliamo deludere la città. L'allestimento ora va ripensato. Sarebbe stato un unicum. Ci dobbiamo reinventare e vincere anche la "maledizione" di Caravaggio, è una sfida, la faremo su due sedi: museo e cappella". 
Come ha vissuto il momento dell'arrivo di "Parade" al museo? 
"Con grande ansia, lo confesso: il sipario entrò da una finestra alzato da una gru sviluppato nella Sala da Ballo grande proprio come la tela che doveva essere integralmente sviluppata prima di essere alzata. Resto meravigliato di leggere che il presidente di Italia Nostra ha definito "memorabile" quella mostra su Picasso. Ma allora non ha avuto ansia e preoccupazioni e ora le ha per spostare l'opera del Pio Monte?" 
Cosa si propone la mostra curata con Cristina Terzaghi? 
"L'obiettivo era di sottolineare il rapporto e il legame fortissimo tra Caravaggio e Napoli; in tre mesi di mostra puntavamo a raccontare questo e a far entrare nel sentire comune l'idea che Napoli è stata fondamentale per l'artista. Nel momento più tragico della vita dell'artista, c'è un incontro molto forte con la città. Un aspetto mai studiato in fondo dal punto di vista storico artistico e spirituale". 
E per questo serviva portare le "Sette opere"? 
"Sì. Perché la mostra era l'occasione per avvicinare le persone e altre pitture di Caravaggio e di suoi contemporanei al capolavoro che va visto da vicino e così come è esposto non lo è. Ogni volta che si mette una pittura in un areo per una mostra è un rischio o esporlo in museo. È un rischio permanente. Così come in città sono a rischio le fontane dei contemporanei di Bernini come quella di Naccherino in Villa ogni giorno vandalizzata come tanti monumenti storici del centro storico e delle periferie. Dove sono i difensori della tutela? A Firenze nel 2017 la "Deposizione" del Pontormo fu spostata dalla chiesa di Santa Felicita per andare a Palazzo Strozzi: e nessuno gridò allo scandalo. Ci sono doppi standard, uno per Firenze un'altro per Napoli ?". 
Come farete ora? 
"Troveremo una soluzione. Volevamo offrire un avvicinamento fisico, visuale e intellettuale con la produzione di Caravaggio a Napoli. Le "Sette opere di misericordia" del 1607 nella chiesa all'epoca di Caravaggio era esposta in maniera molto diversa da come la vediamo oggi, a seguito del progetto della cappella ottagonale realizzato da Francesco Antonio Picchiatti a partire dal 1658, quasi 50 anni cioè dopo la morte di Caravaggio. La chiesa era rettangolare, sul fondo l'opera di Caravaggio che era molto più visibile di oggi. L'artista ha dipinto per una chiesa diversa da quella che noi tutti conosciamo: in mostra avremmo riproposto quello schema. Picchiati nel Seicento ha realizzato un allestimento che è stata una glorificazione dal punto di vista architettonico dell'opera di Caravaggio, anche a discapito della visibilità delle opere. Nella mostra volevamo rendere più visibile a tutti il modo di dipingere del genio. Vuol dire che cambieremo obiettivo: racconteremo come Napoli glorificò Caravaggio e non tanto (e solo) il forte legame con Napoli" (fonte: la Repubblica).

link (pareri opposti sullo spostamento del dipinto):



Va all’asta la problematica ‘Giuditta-Tolosa’. Ne parla Stefania Macioce, esperta di Caravaggio

Stefania Macioce, scettica sull'autografia caravaggesca della Giuditta francese, almeno per quanto riguarda la tavolozza utilizzata, accoglie invece la nuova datazione al 1602 per il prototipo di Palazzo Barberini

Andrà all’asta il 27 giugno a Tolosa come opera di Caravaggio con una valutazione di circa 150 milioni di dollari, la Giuditta e Oloferne, dipinto rintracciato proprio a Tolosa nel 2014. In occasione dell’esposizione del quadro alla Galleria Colnaghi di Londra, a detta di Eric Turquin, l’esperto francese, già direttore del dipartimento Maestri antichi di Sotheby’s che ne ha seguito il restauro, la paternità dell’opera è più che certa: “L’analisi a raggi x dimostra che originariamente Giuditta volgeva lo sguardo verso Oloferne, stava guardando ciò che aveva fatto”, proprio come nella prima versione del soggetto dipinta da Caravaggio nel 1602, capolavoro attualmente a Roma nella Galleria Nazionale di Palazzo Barberini.
L’autenticità della tela (m. 1,75 x 1,44) descritta in due lettere del 1607 al duca di Mantova, nel testamento in data 1617 del pittore e mercante d’arte Louis Finson e in un un inventario del suo socio Abraham Vinck, redatto ad Anversa nel 1619, è stata oggetto di un serrato dibattito critico sulla pertinenza dell’attribuzione a Caravaggio, o al pittore fiammingo Louis Finson che a Napoli aveva un’affermata bottega e che, come risulta dalle fonti, deteneva alcune opere del pittore lombardo. 
Il dipinto in questione, che ha evidenti analogie compositive e iconografiche con quello già noto del medesimo soggetto di mano di Finson, viene indicato come un’altra versione della Giuditta e Oloferne già Coppi ora a Palazzo Barberini. Se, come alcuni sostengono, si trattasse di una copia da Caravaggio, ciò rientrerebbe facilmente nelle modalità della bottega di Finson, pittore noto, ma anche mercante d’arte che, per ovvi motivi commerciali, potrebbe aver fatto eseguire da uno specialista diverse copie anche di altri autori, per proporle al facoltoso mercato di Bruges e Amsterdam. Il dipinto, secondo il fortunato possessore Turquin, sarebbe stato modificato solo in un secondo momento, una metodica che nessun copista avrebbe perseguito men che meno per alterare la direzione dello sguardo del personaggio principale, se fosse una copia conclude Turquin: «il copista sarebbe un genio».
Nel 2016 in occasione dell’incontro a porte chiuse Attorno a Caravaggio tenutosi nella Pinacoteca di Brera di Milano, ma in precedenza avevo affrontato la questione anche al Metropolitan di New York, ho avuto modo di rianalizzare e ridiscutere il dipinto, esposto a fianco di altre opere di Finson, tra cui la Giuditta e Oloferne di proprietà Intesa Sanpaolo. In quell’occasione le analisi condotte sulla tela hanno posto in luce dati di sicuro interesse circa i pigmenti, i cambi di impostazione delle figure, risultato di una diagnostica di qualità eccellente che ha rivelato all’interno della composizione dati assai contrastanti tanto che la lettura complessiva del quadro nelle sue fasi di realizzazione, è risultata disomogenea. 
Fui colpita in particolare dalla presenza, nell’abito di Giuditta, di pigmento blu, molto in uso nei paesi nordici dove il nero era di difficoltosa reperibilità; il blu, che Caravaggio considerava il «veleno delle tinte», si riscontra solo in alcune opere del pittore utilizzato con parsimonia e ciò del resto è abbastanza in linea con la sua tavolozza notoriamente basata sulle terre. Non voglio entrare nel merito di questo aspetto che ho trattato più diffusamente in altra sede, né contestare o approvare i risultati di quella giornata che si concluse all’insegna di ragionevoli interrogativi e di una difformità di pareri [...]

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Nuova emissione filatelica in Austria per il "Davide e Golia"

Per Davide e Golia è bis. Due opere di Caravaggio su questo soggetto sono finite nei francobolli: una è stata citata dall’Italia il 16 luglio 2010; per la seconda ci penserà l’Austria il prossimo 1 marzo 


Michelangelo Merisi (1571-1610), più noto come il Caravaggio, protagonista della nuova tappa che l’Austria dedica alla serie “Antichi maestri”. La scelta è caduta su un soggetto biblico, “Davide con la testa di Golia”, dipinto databile attorno al 1600-1601. Per l’obiettivo, l’artista impiegò una tavola in legno di pioppo, già utilizzata in occasione di un altro lavoro. Oggi è in mostra alla galleria dei ritratti presso il Kunsthistorisches museum di Vienna, ma non è l’unica sua opera con tale soggetto: una seconda si trova alla Galleria Borghese, quindi a Roma, citata dall’Italia postale attraverso il 60 centesimi del 16 luglio 2010. 
Il nuovo francobollo, dal costo di 1,80 euro, porta il nome di Kirsten Lubach; sarà messo in prevendita l’1 marzo ed il 9 arriverà nel resto degli sportelli (fonte: Vaccari News).

"Giuditta e Oloferne", all'asta il (presunto) Caravaggio della discordia




Nel 2014, il banditore francese Marc Labarbe ricevette una telefonata da un amico. Costui gli rivelava che nella soffitta della sua casa a Tolosa aveva trovato un dipinto barocco e che, sebbene l'opera fosse coperta di polvere e deteriorata dall'acqua, sembrava avere un certo valore. 
Labarbe, osservando il dipinto e nel rimuovere la polvere dai volti della pittura, scattò una foto all'opera e la inviò a Parigi al valutatore d'arte Eric Turquin. Cinque anni dopo l'esperto ha identificato il quadro, già restaurato, come «Giuditta e Oloferne», un'opera perduta del maestro Caravaggio, che si ritiene dipinse nel 1607. 
Un quadro controverso. Perché se per alcuni studiosi si tratta effettivamente di un'opera di Caravaggio, perduta per oltre 400 anni, per altri esperti (come Mina Gregori) sarebbe solo un falso, l'opera di un copista. 
Il quadro della discordia è stato recentemente restaurato e dopo due anni di lavoro verrà messo all'asta. Il 27 giugno Labarbe lo venderà all'asta proprio a Tolosa, dove prevede di piazzarlo per oltre 150 milioni di euro
Secondo Turquin, che ha curato il restauro, non ci sono dubbi che si tratti di un'opera autentica di Caravaggio: «Ci sono delle modifiche tra quello che vediamo sia a occhio nudo che con i raggi X e i raggi ultravioletti, e questo dimostra che è il frutto di un processo creativo, con cambiamenti e variazioni. È la prova che è un originale». E ha aggiunto: «Abbiamo fatto ricerche per 18 mesi anche con l'ausilio di strumenti a infrarossi, raggi X, lo hanno visto molti storici d'arte specialisti di Caravaggio e la conclusione è stata di autenticità». 
Secondo Eric Turquin si tratta di una seconda versione del dipinto conservato nella Galleria nazionale di arte antica di Palazzo Barberini a Roma che rappresenta l'episodio biblico della decapitazione del condottiero assiro Oloferne da parte della vedova ebrea Giuditta, che voleva salvare il proprio popolo dalla dominazione straniera. Questo secondo dipinto sarebbe stato realizzato dal Merisi a Napoli nella prima decade del Seicento. Quattro documenti secondo Turquin sostengono l'autenticità e la provenienza del dipinto ad olio: due lettere del 1607 al duca di Mantova, che descrivono il dipinto; il testamento del 1617 del mercante d'arte e pittore Louis Finson; un inventario della tenuta di Abraham Vinck, un socio di Finson, eseguito ad Anversa nel 1619. 
Dopo il 1619, il destino del dipinto è poco conosciuto. «E non sappiamo dove sia stato dopo il 1689», la data della sua ultima mostra, ha detto Turquin. Prima di essere scoperto a Tolosa, soltanto la meticolosa copia dipinta dall'artista olandese Finson, contemporaneo del Caravaggio, indicava l'esistenza dell'originale (fonte: Il Mattino)

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In mostra a Lugano un "San Francesco" attribuito a Caravaggio


In occasione dei festeggiamenti del Quattrocentesimo anno di fondazione della Confraternita di San Carlo Borromeo, proseguendo l’iniziativa che dal 2015 porta nella chiesa dedicata al Santo in via Nassa a Lugano dipinti di arte sacra legati a San Carlo ed alla visione artistica della Controriforma, quest’anno, per la prima volta in Svizzera, è esposto un quadro di Michelangelo Merisi da Caravaggio: San Francesco in meditazione, un olio su tela, 136 x 91 cm proveniente da collezione privata [ex Cecconi, ndC400] e restaurato a Londra nel 2006.
Fino al 30 marzo (orari:dalle ore 7:00-19:00 tranne dalle 11:00-13:00 salvo eventuali impegni liturgici), i visitatori possono vedere un capolavoro, che dopo le mostre di Düsseldorf (2006) e Parigi (2010), non era stato più esposto e di cui si è discussa, in passato, l’autenticità. Le analisi e le radiografie eseguite in occasione della mostra di Caravaggio a Düsseldorf hanno evidenziato numerosi ed importanti pentimenti concettuali, mettendo altresì in rilievo la tecnica pittorica personalissima del Caravaggio, confermandone così a parere degli esperti Clovis Whitfield, Mina Gregori, Sir Denis Mahon, Claudio Strinati… l’autografia.

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Presentazione degli "Scritti su Caravaggio e l’ambiente caravaggesco" di Gianni Papi, il 6 marzo a Roma


Mercoledì 6 marzo 2019 alle ore 18.00, si terrà nella sede di Palazzo Barberini la presentazione del volume Senza più attendere a studio e insegnamenti. Scritti su Caravaggio e l’ambiente caravaggesco di Gianni Papi (Artstudio Paparo, Napoli 2018).

Introduce
Flaminia Gennari Santori 

Intervengono
Francesca Cappelletti 
Yuri Primarosa 
Claudio Strinati 

Il volume prosegue la ricerca su Caravaggio e l’ambito caravaggesco, che Gianni Papi ha già approfondito nelle raccolte di saggi Spogliando modelli e alzando lumi (2014) e Entro l’aria bruna d’una camera rinchiusa (2016). Con tredici nuovi saggi, oltre a sette già pubblicati, il libro spazia dalla fase caravaggesca di Giovanni Baglione, a quella iniziale di Filippo Vitale, dall’esperienza romana di Giovanni Martinelli alla recensione alla mostra Dentro Caravaggio svoltasi a Milano nel 2018.
L’autore presenta un approfondimento su Johannes van Bronchorst, artista poco conosciuto ma di grande qualità, una sorprendente aggiunta al catalogo di Bartolomeo Cavarozzi, una riflessione sul percorso di Nicolas Régnier, e riconsegna ad Adam de Coster una serie di opere che in passato, a cominciare da Benedict Nicolson, erano state assegnate a Gherard Seghers. E poi la scoperta di una pala d’altare di Angelo Caroselli nel Montefeltro e la riconferma a Giovan Francesco Guerrieri di una notevole tela dei suoi anni più fertili; e ancora aggiunte a Marcantonio Bassetti, a Orazio Borgianni, a Matthias Stom, a Juan Bautista Maino, a Andrea Commodi, al Maestro dei giocatori, e a Bartolomeo Manfredi.

Gianni Papi è studioso di Caravaggio e dell’ambiente caravaggesco. Ha curato numerose mostre su questi argomenti (fra le più recenti Caravaggio e caravaggeschi a Firenze, 2010 e Gherardo delle Notti, 2015, entrambe alla Galleria degli Uffizi di Firenze).

Ingresso gratuito fino ad esaurimento posti