Caravaggio e il Maestro di Hartford, la mostra d’autunno della Galleria Borghese di Roma



Nel prossimo autunno la Galleria Borghese di Roma presenterà la mostra “L’origine della natura morta in Italia – Caravaggio e il Maestro di Hartford”. L’esposizione prosegue l’opera di valorizzazione del patrimonio artistico, permettendo di analizzare le origini della natura morta italiana nel contesto romano della fine del XVI secolo, seguendo i successivi sviluppi della pittura caravaggesca dell’inizio del ‘600. La mostra sarà curata da Anna Coliva, storica dell’arte e direttrice della Galleria Borghese e da Davide Dotti, critico d’arte che si occupa di barocco italiano e in particolare di paesaggismo e natura morta tra 600 e 700. 
La rivoluzione iconografica e concettuale si deve a Caravaggio: intorno al 1597-98 dipinse a Roma la celeberrima Canestra, conservata alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano e presente in mostra. L’opera sancisce la nascita del genere della natura morta, rappresentazione fedele e oggettiva di un brano di natura svincolato dalla figura umana. Per la prima volta le umili “cose di natura” assurgono al ruolo di protagoniste della rappresentazione pittorica, dal momento che per il Merisi non esisteva distinzione tra “pittura alta” di storia e “inferior pittura”
Se Caravaggio licenziò l’archetipo della natura morta italiana, il Maestro di Hartford – pittore attivo nella cerchia del Cavalier d’Arpino – si guadagnò un ruolo chiave per la diffusione della nuova iconografia, essendo il più antico specialista di natura morta attivo a Roma tra XVI e XVII secolo. Oltre ai due capolavori della Galleria Borghese, alla tela eponima del Wadsworth Atheneum Museum of Art di Hartford e all’Allegoria della Primavera ultimata da Carlo Saraceni, saranno esposti altri quattro dipinti del misterioso pittore, alcuni mai presentati al pubblico, rinnovando questo appassionante giallo del mondo dell’arte. Il grande critico e storico Federico Zeri, infatti, in un articolo del 1976, assegnò un ristretto gruppo di tele alla prima attività del Merisi, al tempo del suo passaggio nella bottega del Cavalier d’Arpino. Una tesi affascinante, che però divise la critica: per tale motivo venne creata la personalità del “Maestro di Hartford”, indefinita ma distinta da quella del Caravaggio, come quella di un misterioso artista che operò forse al fianco del giovane Merisi nell’atelier del d’Arpino, sviluppando così la sua specializzazione nel campo della natura morta. 
Per attestare come la lezione del Maestro di Hartford venne raccolta da vari naturamortisti, nella seconda sezione della mostra campeggeranno rare tele del “Maestro del vasetto” e del “Maestro delle mele rosa dei Monti Sibillini”. La terza sezione sarà invece dedicata ai pittori che frequentarono l’Accademia istituita dal marchese Giovanni Battista Crescenzi nel suo Palazzo alla Rotonda, adiacente al Pantheon. Sulla scorta delle fonti antiche, saranno esposte tele di Pietro Paolo Bonzi detto Gobbo dei Carracci, del Maestro della natura morta Acquavella – che la critica è propensa ad identificare con Bartolomeo Cavarozzi – e dello stesso Crescenzi.

La mostra aprirà il 19 ottobre.

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Un nuovo Caravaggio? Il ritratto dell’uomo che difese Beatrice Cenci

Il giurista Prospero Farinacci in un dipinto che porterebbe la firma di Michelangelo Merisi è stato presentato dalla rivista «Artibus et Historiae»



Nel febbraio 1638, nell’Inventario della collezione romana del marchese Vincenzo Giustiniani, era citato «Un Ritratto del Farinaccio Criminalista depinto in tela da testa si crede di Michelang.o da Caravaggio con cornice in noce». Se ne erano perdute le tracce. 

Sei storici dell’arte non hanno dubbi 
Ora la prestigiosa rivista internazionale «Artibus et Historiae», fondata e diretta da Józef Grabski, pubblica una ricerca su: «Il Ritratto riscoperto di Prospero Farinacci di Caravaggio». Lo firmano gli storici dell’arte Marco Cardinali, Beatrice De Ruggieri, Giorgio Leone, Wolfgang Prohaska, Matthias Alfeld e Koen Janssens. La tela, 61 centimetri per 40,5 ma tagliata ai lati, rappresenta un uomo di mezza età in un profilo di tre quarti: pressoché calvo, naso aquilino, barba grigia e baffi più scuri. Porta la toga nera dei giudici romani, ripiegata sulla spalla sinistra. Il quadro fu acquistato nei tardi anni ‘90 in Gran Bretagna. La superficie annerita, a tratti corrosa, una estesa rete di screpolature. Fu restaurato a Windsor da Thérèse Prunet Brewer e rintelato da Paul Ackroyd alla National Gallery di Londra. 

L’ipotesi sin dalle prime analisi tecniche 
L’ipotesi Caravaggio nasce fino dalle prime analisi tecniche di Nicholas Eastaugh. Ai raggi X emerge il dipinto sottostante di una donna a mezzo busto, forse la Madonna: un velo sul capo e le spalle, il petto serrato dall’attillata gamurra che era un vestito in uso nel Seicento. Nei primi anni romani Caravaggio lavorò nella bottega del siciliano Lorenzo Carli che si dedicava a «copie di devotione». Il 10 aprile 1597 fu compilato l’Inventarium omnium et singolorum bonorum del defunto Laurentiis de Caris. Caravaggio avrebbe portato con sé e riusato alcune tele. Come il ritratto della donna, dipinto nello stesso anno. In seguito è stata impiegata una tecnica di investigazione scientifica molto sofisticata, lo scanner a raggi fluorescenti MA-XRF che permette attraverso un’analisi non invasiva la mappatura di ogni singolo pigmento. Sulla superficie due leggeri strati marrone contengono ruvidi grani di piombo bianco, ocra gialla e rossa, cristalli di ferro e manganese, alluminio silicato. 

Le analogie con «San Giovanni Battista» e «Ragazzo morso dal ramarro» 
Sono forti le analogie con il «Ragazzo morso dal ramarro» della National Gallery di Londra e i «San Giovanni Battista» romani, alla Pinacoteca Capitolina e alla Galleria d’Arte antica di Palazzo Corsini. Per tecnica e luminosità il Ritratto riscoperto si apparenta a quello di Maffeo Barberini, cardinale e poi papa Urbano VIII, nella collezione Corsini di Firenze. L’occhio sinistro del giudice rivela un’anomalia, una strizzatura della palpebra e della pupilla che gli dà un aspetto enigmatico. Farinacci fu aggredito in una notte del 1582 da alcuni facinorosi e il globo oculare rimase menomato, come appare nel busto marmoreo della tomba in San Silvestro al Quirinale. «Artibus et Historiae» ospita in proposito la perizia medica di due professori di Oftalmologia di Parigi, Serge Morax e Isabelle Badelon. Giulio Mancini, storico d’arte dell’epoca, testimonia che «il nostro eminentissimo juris-consulto Prospero Farinacci, esso vivente, si fece ritraher sfrigiato e senz’un occhio». 

Il giurista senza scrupoli 
Di lui si conoscono altre due immagini: il ritratto di mano del Cavalier d’Arpino intorno al 1607, dove l’occhio sinistro è in ombra totale, e l’incisione in legno di Lorenzo Crasso del 1666 nel libro «Elogii d’huomini letterati». Farinacci (1544-1618) era famoso per l’estrema durezza delle sentenze ma anche per la mancanza di scrupoli. Fu accusato di vanità e corruzione, sospeso dall’ufficio, imprigionato per questioni d’armi. Ma protetto da Clemente VIII Aldobrandini uscì indenne nel 1595 anche da un’imputazione di pederastia, che comportava la pena di morte. Estinta ogni «infamiae maculam», fu restituito a onori e dignità. Fu anche ma senza successo l’avvocato difensore di Beatrice Cenci, accusata di parricidio e decapitata di spada l’11 settembre 1599 in piazza Castel Sant’Angelo. Era presente Caravaggio e insieme a lui Orazio Gentileschi con la figlioletta di sei anni Artemisia.

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"Caravaggio e i pittori del Nord" in mostra a Madrid, di Michele Cuppone



Caravaggio, Santa Caterina d’Alessandria, Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza, 1598-1599 ca. 
Caravaggio, San Giovanni Battista, Kansas City, The Nelson-Atkins Museum, 1604 ca.


È visitabile fino al 18 settembre Caravaggio and the Painters of the North, al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid. La mostra non ricalca il collaudato e verrebbe da dire spesso ripetitivo – e però sempre vincente a livello commerciale – format che prevede quadri di Caravaggio e caravaggeschi, ma ha il merito appunto di spostare l’attenzione dal maestro ai suoi seguaci e ammiratori nell’Europa del Nord, soprattutto olandesi, fiamminghi e francesi (e non da tutti considerati caravaggeschi in senso stretto); artisti che, in parte, prima di conoscere più direttamente in Italia la pittura tutta nuova del milanese vennero raggiunti dalla sua fama, presto propagata in quella parte del Vecchio Continente grazie al vivido profilo biografico tracciato da Karel van Mander nel suo Schilder-Boeck del 1604 (“c’è anche un Michelangelo da Caravaggio che fa a Roma cose meravigliose”, ne è l‘appassionante incipit). Tali artisti, sempre attenti alle novità, furono letteralmente scossi da quella caravaggesca, che apprezzavano per la tecnica di esecuzione dal vero e per l’anticlassicismo, tutti valori ai quali, per tradizione, si sentivano vicini. 
La curatela della mostra è di Gert Jan van der Sman, che si presenta direttamente ai più alti livelli negli studi caravaggeschi con grande professionalità e rigore filologico, oltre che dando un bell’esempio di umiltà e operosità: è raro che un curatore firmi come in questo caso gran parte delle pagine del catalogo, tra saggi d’apertura e introduttivi alle singole sezioni, e quasi la metà delle schede. 
53 i pezzi esposti, tutti pitture eccetto un sarcofago romano (la cui presenza inconsueta trova una giustificazione, a mio avviso non pienamente convincente, per la provenienza già dalla collezione Giustiniani e ora madrilena), tralasciando un bronzetto di Duquesnoy in realtà fuori catalogo. L’esposizione è scandita da sei sezioni, con la prima, Caravaggio a Roma, che sostanzialmente isola la produzione strettamente merisiana (o a lui attribuita): dieci capolavori che includono i Musici del Metropolitan, scelto come logo della manifestazione, la ‘residente’ e inamovibile Santa Caterina, il cui prestito ancorché previsto non fu poi concesso né alla mostra del Quarto Centenario alle Scuderie del Quirinale né alla successiva presso Sant’Ivo alla Sapienza, il San Francesco di Cremona, ora molto più leggibile grazie al fresco e felice restauro di Mariarita Signorini che ne ha restituito particolari quasi dimenticati (nodo del saio, chiodi del Crocifisso, foglie e tronco dell’albero, meglio riconoscibile come ulivo). Assente giustificata la concittadina Salomè, anch’essa appena restaurata, nella concomitante Da Caravaggio a Bernini presso Palacio Real (un’occasione in più per fare un salto a Madrid), mentre può far discutere l’inclusione nel corpus caravaggesco del Ragazzo che monda un frutto (recentemente identificato come limoncello), noto in molte versioni di cui qui si propone quella delle collezioni reali inglesi e che comunque è anche quella con più interessanti pentimenti. Il prestito più eccezionale, non fosse altro per la maggiore distanza della trasferta, deve forse considerarsi il San Giovanni Battista di Kansas City, qui ancora inevitabilmente collegato alla ricevuta di pagamento Costa del 1602, documento che però già in un articolo (link: http://news-art.it/news/caravaggio-quando-dipinse-la-giuditta-e-oloforne-.htm) apparso su questa rivista alla vigilia dell’inaugurazione della mostra, ponevo in relazione alla Giuditta e Oloferne (si veda pure cosa a tal proposito ha scritto ora Gianni Papi) ...

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Mostra "Beyond Caravaggio", prossimamente a Londra, Dublino ed Edimburgo



Prossimamente, il 12 ottobre 2016 alla National Gallery di Londra, aprirà Beyond Caravaggio, a cura di Letizia Treves, la prima grande mostra in Gran Bretagna che esplora l'influenza di Caravaggio nell'arte dei suoi contemporanei e seguaci.
Dopo il debutto pubblico romano di Caravaggio nel 1600, artisti provenienti da tutta Europa accorrevano a Roma per vedere il suo lavoro. Sedotti dalla forza pittorica e narrativa dei suoi dipinti, molti hanno continuato a imitarne il naturalismo e i drammatici effetti di luce. 
Dipinti del Caravaggio e dei suoi seguaci erano molto ricercati nei decenni seguenti la sua morte prematura all'età di appena 39 anni. Entro la metà del XVII secolo, tuttavia, lo stile caravaggesco era caduto in disgrazia e ci sarebbero voluti quasi tre secoli perché la reputazione di Caravaggio si risollevasse e le sue realizzazioni artistiche venissero unanimemente apprezzate. 
Riunendo opere eccezionali di Caravaggio e degli artisti italiani, francesi, fiamminghi e olandesi che egli ha ispirato, Beyond Caravaggio esamina il fenomeno artistico internazionale noto come Caravaggismo.
La mostra è una collaborazione tra la National Gallery di Londra, la National Gallery of Ireland di Dublino (dove l'esposizione si sposterà tra 11 febbraio e 14 maggio 2017), e le National Galleries of Scotland di Edimburgo (tappa finale, dal 17 giugno al 24 settembre 2017, tutte le date potranno essere soggette a variazioni).

Del ricco calendario di eventi associati, si segnalano in particolare due interessanti giornate di studi che si terranno il 17 e 18 novembre 2016, cui parteciperanno Letizia Treves, Richard Spear, John Gash, Maria Cristina Terzaghi, Laura Teza, Helen Langdon, Antonio Ernesto Denunzio, Simone Mancini, Dean Yoder, Adam Lowe, Keith Christiansen, Francesca Cappelletti, Patrizia Cavazzini, Arnauld Brejon de Lavergnée, Annick Lemoine, Wayne Franits, Leticia Ruiz Gómez, Keith Sciberras.




"Non fu omicidio: Caravaggio venne provocato". La risposta ad un articolo del Burlington Magazine, di Clovis Whitfield


Precisazioni documentarie sulla vicenda che vide il tragico duello tra Caravaggio e Ranuccio Tomassoni, non correttamente ripresa in un saggio di Keith Sciberras (di Clovis Whitfield)


Sebbene Caravaggio fosse coinvolto in più di un evento fatale, non è comunque corretto definirlo assassino, e quindi colpevole di omicidio colposo, come lo descrive Keith Sciberras nel suo articolo “ Caravaggio obbediente” nel numero di giugno del “Burlington Magazine”. La rissa che avvenne il 28 Maggio del 1606 fu evidentemente uno scontro che coinvolse più persone (almeno otto) nella quale Caravaggio ed il suo amico Petronio Troppa (già Capitano di Castello) furono entrambi colpiti [quasi, ndC400] a morte. Uno dei testimoni disse che iniziò con uno schiaffo in faccia, un altro invece disse che Tomassoni provocò il pittore “a far seco questione”, in seguito a un incidente occorso qualche giorno prima in una partita a pallacorda. La presenza dei due cognati di Ranuccio (in seguito banditi anche loro) introduce un elemento di onore nell’intendere la motivazione di questa rissa. Van Mander ha riferito (già prima del famoso incontro del Vicolo di Pallacorda) che Caravaggio "gira da un gioco di palla all’altro, molto incline a duellare e a far baruffe" e sappiamo da altre fonti che era un uomo molto difficile da avvicinare, un cervello stravagantissimo che non andava d’accordo con gli altri, e cercava la compagnia di persone che erano per natura “brigosi” come ci narra Baglione. Mario Minniti lo trovava troppo "torbido e contentioso" a stargli vicino, e secondo il suo biografo Susinno egli si sposò proprio per allontanarsene. Siccome dobbiamo riconoscere che un elemento fondamentale della sua fama sia che Caravaggio abbia percepito il mondo in un modo diverso dagli altri, non dobbiamo stupirci che lui trovasse difficile andare d’accordo con loro e che aveva bisogno della “protezione” di persone come Prospero Orsi, Onorio Longhi e poi di mecenati potenti come Del Monte e i Mattei. In ogni caso nella rissa con i Tomassoni c’era più di uno di questi uomini brigosi, con una fama tutt'altro che linda in quel rione. Una tale fatalità non sarebbe stata considerata omicidio colposo o assassinio, ma invece come omicidio casuale, senza sanzione obbligatoria, e anche quando il pittore era colpito - a distanza di un mese - da un bando capitale, la revoca ne era un'eventualità del tutto possibile. Un altro racconto dettagliato della rissa, che non è riportato nell’eccellente volume curato dalla Macioce con tutti i documenti che riguardano Caravaggio, ma citato da Francesco Tresoldi online nel 2009 su gialli.it/lomicidio-di-Ranuccio-Tommasoni) è quello di Francesco Maria Vialardi, in una lettera scritta a Maffeo Barberini il 3 Giugno del 1606

“… ho inteso dire che il detto Michaelangelo in sulle 16 hore se ne passò quel giorno da casa del medesimo Ranutio, con comitiva, et il detto Ranutio, vedutolo si armò di dosso, et lo andò affrontare cacciando mano da solo, a solo. Restando ferito il pittore, in suo aiuto uscì un tal Petronio Troppa gia Capitano di Castello, et dall’altra il Capitan Gio Francesco fratello di esso Ranutio. Finalmente il Ranutio inciampò dov’hebbe a cadere, nel qual tempo, colto di stoccata da Michelangelo, cascò in terra morto, sendo il Petronio restato malamente ferito dal Capitan Gio Francesco …” 

Sebbene non sia stato possibile identificare l’origine di questa lettera, tuttavia essa è coerente con gli altri rapporti che confermano che Caravaggio non era l’aggressore, che Tomassoni sfidò il pittore e lo ferì in un incontro che era iniziato "a solo a solo” ...


"Caravaggio Innamorato? Nuove ipotesi sul 'Ragazzo morso dal ramarro' in uno studio di Giacomo Berra", di Pietro Di Loreto


Uno dei capolavori giovanili di Caravaggio riletto alla luce delle coeve fonti poetiche e letterarie, nell'accurata indagine filologica e iconografica di uno studioso 'caravaggista' tra i più preparati (di Pietro di Loreto)


Non è certo l’ennesima scontata pubblicazione su un argomento riguardante un dipinto di Caravaggio, di facile attrazione e di sicuro successo quanto meno per gli appassionati delle belle arti, questo che Giacomo Berra ha dato alle stampe per i tipi di Libroco, in vendita già da qualche settimana. E forse non avrebbe fatto male l’autore, che di altri dipinti del Merisi ha in varie circostanze proposto letture tanto dotte quanto innovative, a specificarlo ai lettori. Anche in questo caso, in effetti, siamo di fronte ad un lavoro insieme stimolante ed impegnativo, ma del tutto originale, riguardante il Ragazzo morso dal ramarro, un capolavoro giovanile di Caravaggio da sempre oggetto (come tutte le opere del genio lombardo d'altronde) di letture differenti e perfino contrastanti, e che però l’autore presenta ora riformulandone il senso, sulla base di un’analisi serrata del contesto culturale del tempo in cui vide la luce, condotta in maniera tale che davvero meriterebbe di essere inserita nei manuali dei licei se consideriamo l’impegno intellettuale da cui è scaturita. Le relazioni con la cultura letteraria, l’analisi approfondita dei testi, i confronti stretti con tematiche ed eventi collegati ai temi presi in esame: tutto ciò viene a comporre a nostro parere un percorso preciso che si situa ad un livello ragguardevole di critica d'arte secondo una metodologia che non potrà che attirare ulteriormente l'attenzione degli addetti ai lavori e non solo. 
Per entrare meglio nel discorso, occorre dire subito che l’autore ha focalizzato la sua ricerca sul significato simbolico–allegorico–letterario che si cela dietro il dipinto sub judice, sottolineando come esso “rifletta proprio un topos amoroso diffusissimo nella cultura emblematica e poetica del cinquecento”
Per poter dimostrare il suo assunto, Berra ha esplorato con vera acribia quanto la cultura letteraria e in particolare la poesia antica avevano prodotto in precedenza o a ridosso dell’opera e anche i molti e differenti punti di osservazione emersi nel corso del tempo, a cominciare proprio dai giudizi relativi alle versioni che sono conosciute. Tutti sanno in effetti che le versioni accreditate di autografia caravaggesca sono due, una in collezione Longhi, l’altra oggi alla National Gallery di Londra, pochi sanno però che probabilmente è esistita anche un’altra redazione dell’opera: una tesi che Berra, sulla base di quanto lasciato scritto da Giulio Mancini, non si sente di “scartare del tutto”, secondo la quale di questo tema sarebbero stati in effetti realizzati due soggetti, differenti anche se simili: da un lato ci sarebbe “un putto che piange” e dall’altro “un ‘fanciullo’ che fa una smorfia di dolore, entrambi morsi da una lucertola”. E sulla scorta di questi diversi rimandi, lo studioso opta per l’idea che le versioni prodotte siano due ed una sia “abbastanza diversa dalle versioni di Londra e Firenze” ...


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