"AAA Vendesi Caravaggio. La trattativa di Gaetano Badalamenti e il prete che sapeva", di Michele Cuppone

Riemerge una video intervista al sacerdote a conoscenza della richiesta di riscatto per la Natività rubata. È la terza dopo quelle del 1994 e del 2006


Singolarmente solo dopo cinquant'anni, tutti ora hanno voglia di parlare della Natività di Caravaggio (1600), rubata nell'ottobre 1969 dall'oratorio di S. Lorenzo a Palermo. Proprio quando la riapertura del fascicolo da parte della Commissione antimafia, nel 2017, aveva fatto, per quel che possibile, chiarezza su importanti elementi: l'individuazione degli autori materiali del colpo, l'intromissione e l'acquisizione della tela da parte del boss di Cinisi Gaetano Badalamenti, la sua vendita e partenza alla volta della Svizzera nel 1970. Ecco così che alcuni pentiti propongono piste alternative, mentre un detective privato ritiene che il quadro non abbia mai lasciato l’isola.
A questo brusio di fondo, che in buona parte sarà forse alimentato da interessi personali, si aggiunge adesso una nuova voce. Anzi vecchia. E autorevole: è don Benedetto Rocco, che dell'oratorio era rettore in quel 1969. La sua versione è affidata a una video intervista registrata nei primi anni 2000. Il regista Massimo D'Anolfi che la realizzò, andò a intervistare specularmente anche il soprintendente (reggente) di allora Vincenzo Scuderi, ma di quest'altro colloquio ignoriamo i contenuti. Del primo invece ne ha dato l’anteprima The Guardian, pur con qualche imprecisione poi ricalcata da altri (a partire dalla curiosa inversione di nome e cognome del prete). Esso viene rispolverato ora, proprio in occasione della triste ricorrenza del furto, grazie all’interessamento di Bernardo Tortorici con Luisa Montaperto. Tortorici, presiederà la manifestazione dedicata “Caravaggio 50” che si terrà a Palermo a metà ottobre, dove al di là di chi scrive sono stati invitati, fra gli altri, l’ex presidente della Commissione antimafia Rosy Bindi, il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini e il critico Vittorio Sgarbi.
Nella ‘nuova’ conversazione il sacerdote, già superati i settant’anni, parla a oltre trenta di distanza dal furto. Sarà per questo che le sue affermazioni in parte coincidono e in parte si discostano, magari anche poco, da due precedenti interviste sfuggite ai più (ma citate ad esempio ne Il Caravaggio scomparso di Alvise Spadaro del 2010). Uno è l’articolo “'Caravaggio' dove sei?” di Marina Pino, apparso nel marzo 1994 sulla rivista Palermo, periodico della Provincia; l’altro, “La verità di monsignor Rocco: 'il quadro si trova a Carini'” a firma di Laura Oddo, uscito il 21 marzo 2006 in un supplemento de La Sicilia.
Qualche tempo dopo la sparizione del dipinto, il monsignore ricevette una lettera lì in oratorio, dove abitava assieme alle custodi. A scrivere erano i ladri: “Ce l’abbiamo noi il quadro. Se voi volete trattare con noi, scrivete nel giornale questa inserzione …”. Cosa che fu fatta, sentito Scuderi, sul “Giornale di Sicilia”. Era un messaggio in codice, un’apertura a un negoziato e i destinatari avrebbero capito. Il rettore, pur non ricordandone bene il contenuto, narrava a Marina Pino che esso fu pubblicato “negli annunci economici” e che “si trattava di una frase molto banale”. Ma specifica dodici anni dopo a Laura Oddo che era “un messaggio cifrato in cui si parlava di donne di servizio”. Non facile pertanto sarà, in tal senso, ricavare oggi un qualche risultato da una ricerca ad hoc tra le inserzioni del tempo, nella sezione “Piccoli avvisi” del quotidiano siciliano.
Fatto sta che, trascorso altro tempo ancora senza passi in avanti, giunse una seconda lettera. Stavolta, a una nuova richiesta di pubblicare un annuncio, si allegava un piccolo frammento di tela. Tuttavia, il soprintendente a quel punto si sfilò dalla trattativa, cui non fece più cenno in successive interviste. È così che, fallita quella, Badalamenti si mise in contatto con l’acquirente svizzero? Possibile, ma è complicato trovarne conferma [...]


link:

"Caravaggio Poesia della Luce" di Franco Leone "Premio Internazionale di Letteratura Spoleto 2019"

Il Premio Spoleto letteratura 2019 nell'ambito del festival dei Due Mondi


Un riconoscimento importante ha ottenuto ieri Franco Leone, scrittore e poeta coratino che dedica le sue poesie alla ricerca dell’espressione che possa descrivere e ridare vita ad opere d’arte o a momenti e luoghi memorabili della storia italiana.
Nella cornice dello storico Palazzo Leti Sansi, insigne residenza d’epoca di Spoleto, gli è stato assegnato il premio SPOLETO LETTERATURA 2019 per il libro “CARAVAGGIO POESIA DELLA LUCE” della Secop edizioni di Corato. Non sono tante le occasioni in cui la cultura è celebrata è prodotta al tempo stesso, e lo storico appuntamento con il Festival Festival dei due Mondi di Spoleto, lo è: e Leone può oggi annoverarsi tra le personalità che la prestigiosa manifestazione ha accolto.
Il Menotti Art Festival 2019 di Spoleto gli ha conferito l’ambito premio dopo la presentazione in luglio del libro al 62° FESTIVAL DEI DUE MONDI DI SPOLETO. Nella giornata culminante del Menotti Art Festival -che deve il nome al fondatore del Festival di Spoleto Gian Carlo Menotti- Leone ha presentato in poesia alcune opere di Caravaggio attinte dal suo libro, accompagnate dalle musiche dipinte negli spartiti del sommo artista lombardo -tra le quali alcune identificate dallo stesso Leone, e suonate al flauto dal Maestro Pasquale Rinaldi (fonte: Lo Stradone).

Stretta sui prestiti. Il San Francesco di Caravaggio non uscirà più dalla pinacoteca

Stretta sulle opere. Il San Francesco di Caravaggio gira troppo. E dunque non uscirà più dalla pinacoteca di Cremona, se non per prestiti eccezionali. Sono queste le indicazioni date dal ministero e suggerite dalla soprintendenza di Mantova al comune di Cremona. D’altronde il San Francesco è una delle opere più prestigiose del nostro museo, vista l’importanza dell’opera da sempre viene prestato per mostre in tutto mondo, tanto da non essere quasi mai presente al museo. Il problema del prestito è sorto in occasione dello scambio tra Cremona e Vienna per la mostra di Orazio Gentileschi. Le opere chieste in prestito devono avere l’autorizzazione dal ministero, in particolare da una commissione tecnica presieduta da Tomaso Montanari, che ha negato il prestito. Il Comune ha fatto ricorso con un’istanza firmata dal sindaco che è stata accolta. Una situazione delicata che avrebbe potuto far saltare la mostra di Gentileschi, che comunque è slittata di un mese a causa di questa querelle. Ministero e soprintendenza hanno espresso il loro disappunto a prestiti lunghi, in particolare per opere d’arte come il Caravaggio. Ci possono essere le eccezioni, ma solo nel caso in cui le mostre siano di serio interesse scientifico o di prestigio (fonte: Cremona Oggi)

Caravaggio nei Quartieri Spagnoli con "Napoli fashion on the road"

Napoli fashion on the road presenta la nuova tappa, attraverso un reportage all’insegna dell’arte e del misticismo, nei Quartieri Spagnoli, area pulsante, di frenetica vivacità nel cuore del capoluogo campano. La bellissima modella, si presenta in un mistico outfit da angelo, illuminando con la sua bellezza le stradine del quartiere, tra lo stupore dei passanti. Un bellissimo e radioso angelo, simbolo di forza e coraggio, di misericordia, di protezione della città, di contatto tra cielo e terra, di speranza e di amore.
L’angelo, una figura che Napoli fashion on the road ha voluto correlare anche al mondo dell’arte, grazie alla celebrazione di due straordinari pittori che vissero a Napoli nel ‘600, e che inclusero gli angeli tra i loro capolavori: Michelangelo Merisi detto “Il Caravaggio“, e Jusepe de Ribera detto “Lo Spagnoletto“. Ribera, fu l’artista capace di dipingere l’anima di Napoli, città in cui si trasferì nel 1616, in casa dell’anziano pittore dei Quartieri Spagnoli Giovanni Bernardino Azzolino. Dipinse in quell’anno numerosi capolavori tra cui “San Girolamo e l’Angelo“, attualmente conservato nel Museo di Capodimonte di Napoli ed oggi in copia esposto agli scatti del fotografo, in uno dei due pannelli utilizzati dalla modella, tra le strade dei Quartieri Spagnoli. I Pannelli, raffiguranti dunque l’opera di Ribera, e l’altra più celebre “Le Sette opere di Misericordia” (1616-17) del Maestro Caravaggio, conservata nella Chiesa del Pio Monte della Misericordia a Napoli. 
Opere, ambedue caratterizzate dalla presenza di angeli. Nella parte superiore troviamo la figura della Madonna rappresentata sorprendentemente come una donna affacciata al balcone in un vicolo di Napoli, con in braccio Gesù bambino che si sporge per osservare cosa accade in strada; di straordinaria bellezza la presenza di due angeli che si abbracciano alludendo al tema della fratellanza e sotto apprezziamo le scene dedicate alle sette opere di misericordia: Dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti.
Il pittore adottato dalla città partenopea mette in risalto la misericordia spontanea del popolo napoletano, incurante dei nobili dell’istituzione, che attraverso la carità, rafforzavano il loro potere. Alla luce di quanto riportato nella tela, la critica ha interpretato “Le Sette Opere di Misericordia”, come un omaggio del Caravaggio agli abitanti della città di Napoli.
Stupisce dunque la rappresentazione quasi “terrena” del divino, intento che Napoli fashion on the road ha provato a perseguire con la presenza di un angelo nel dedalo di vicoli dei Quartieri Spagnoli, tra passanti stupiti, e talvolta commossi. Come nel caso di un’anziana donna, Maria, che estasiata dall’immagine della modella nei panni dell’angelo, la bacia e la contempla.
Un’immagine che condensa tutto il senso del reportage, trasferendo l’umanità di una persona semplice in contemplazione della simbolica rappresentazione del divino: un divino che in quel momento è parso a Maria più vicino, più carnale, più terreno, cosi come nella poetica che sta alla base della sopra menzionata tela di Caravaggio [...]

link:


Keith Christiansen sulle implicazioni sociali della rivoluzione caravaggesca, da una lettera al direttore di About Art online

Ci si dovrebbe ricordare che Berenson, nel replicare alla grande mostra milanese su Caravaggio, che per la prima volta mise l’artista sotto gli occhi del grande pubblico, notò che a rappresentare la sua fama fosse più la sua biografia che il suo lavoro. Sebbene sia facile da rimuovere, credo che gran parte dell’attuale ossessione per Caravaggio abbia a che fare con quella biografia. I gay lo vedono come un campione. Le persone che hanno difficoltà ad “adattarsi” lo associano ai loro problemi. È la tipica figura anti-establishment. E qualcuno con precedenti penali da avviare. Pensiamo, per un momento, al modo in cui Artemisia è stata trasformata da artista di talento ma non propriamente rivoluzionaria com artista in proto-femminista e vittima. L’arte di suo padre – un’arte che esiste a un livello sempre più elevato – è stata oscurata dalla sua. Ricordo che Charles Dempsey mi disse che non avrebbe mai creduto che Orazio sarebbe stato messo in ombra da sua figlia. Quindi, penso che la biografia dell’artista abbia molto a che fare con questo, motivo per cui ci sono biografie popolari su Caravaggio. 
Dunque, guarda il saggio di Roger Fry sulla pittura barocca e troverai le analogie dell’arte di Caravaggio con i film. Un secondo motivo. Aggiungerei che l’ascesa della fotografia ha completamente trasformato il modo in cui i giovani guardano l’arte. Non c’è posto per il vocabolario idealista di Raffaello e Annibale Carracci. Questo in realtà richiede di entrare nell’idea delle gerarchie tanto quanto nel raffinato mondo dell’antiquariato. E questa è la cultura che ha sostenuto quegli artisti nei secoli XVIII e XIX. La rivoluzione nella cultura populista non ha spazio per la loro arte, motivo per cui sarà interessante vedere la tipologia dei visitatori durante l’anno di Raffaello. La mia ipotesi è che sarà una generazione piuttosto anziana. 
Viviamo in una cultura di celebrità e Caravaggio è diventato una celebrità. 
Ma ciò non significa che vi sia un uguale interesse nei suoi seguaci di talento. Ribera non ne è alla testa, eppure probabilmente è il pittore più grande. Quando ho organizzato la mostra su Valentin insieme ad Annick Lemoine, ero convinto che, come Ribera, Valentin portasse ad una fase più avanzata le innovazioni di Caravaggio. Cioè che Caravaggio stabilisce le basi per qualcosa di “oltre” rispetto quello che ha fatto? SÌ. Ma perfino gli studenti del periodo non sono molto interessati a questo. 
Infine: è tempo che gli studiosi inizino ad affrontare la questione del grado in cui la rivoluzione caravaggesca ha avuto implicazioni sociali piuttosto che puramente artistiche. Il mercato, che era il mezzo con cui Caravaggio si è stabilizzato a Roma e in cui rimase invischiato fino alla fine della sua carriera, e comunque fu un rivoluzionario. Egli era contro le gerarchie e non poteva essere controllato dall’Accademia. Fu il mezzo con cui sia Ribera che Valentin crearono carriere e esplorarono nuovi argomenti. Il diciassettesimo secolo è affascinante proprio perché accanto al modo convenzionale di addestramento e protezione del patrocinio c’era un mercato nuovo, molto meno prevedibile con i rivenditori. È stato il mercato che ha incoraggiato la creazione di nuovi generi e attraverso il quale molti più artisti poterono avere voce anche al di fuori delle dichiarazioni ufficiali delle accademie; questo può essere visto come un qualcosa di conservatore e persino di regressivo che, con il pretesto di elvare lo status dell’artista, in realtà ha chiuso l’innovazione e la speranza fino al XIX secolo, ha incontrato un attacco frontale (fonte: About Art online).

Presentazione di “Nella Bottega di Caravaggio” di Raffaele Messina, il 2 Ottobre a Napoli



"Caravaggio, la Storia dell’Arte e la notte in cui tutte le vacche sono nere", di Luca Bortolotti

Come in uno sfrenato festino in onore di Dioniso l’ubriacatura caravaggesca sembra destinata a non avere fine. Essa presenta, ormai, connotati di passione collettiva che siamo soliti associare ad altri e (si presume) meno nobili ambiti dell’attività umana e che, per estensione e profondità, si direbbero non avere veri precedenti nel campo delle arti figurative. 
Al confronto con l’amore e le attenzioni che oggi investono Caravaggio retrocedono quasi a fenomeni di nicchia quelli, pur planetari, che riguardano Leonardo e Vermeer, Van Gogh o gli impressionisti, per tacere di quelli che nei secoli hanno coinvolto, ma entro confini più strettamente elitari, Michelangelo e Raffaello, oppure, ancor più selettivamente, i “primitivi” o Pontormo, Canaletto o Francesco Guardi
Il fenomeno è noto e negli ultimi anni è stato ampiamente rilevato dagli storici dell’arte, ma soprattutto è stato ben compreso ed estensivamente sfruttato in ciascuno degli aspetti che, a vari livelli, ruotano intorno al mondo dell’arte: mostre e divulgazione culturale, media e social, fino alla pubblicità e alla produzione di gadgets. Decisamente oggi Caravaggio è pop. Di più: è pop senza aver perduto (almeno sin qui) nulla della sua aura presso la comunità scientifica, rappresentando un caso raro di non conflittualità tra cultura “bassa” e cultura “alta”, di convivenza pacifica fra i due livelli.
Si direbbe, in effetti, che il “pubblico dell’arte” – entità astratta, sempre più estesa, ma sempre meno provvista di un identikit minimamente omogeneo – nutra una curiosità insaziabile per qualsivoglia aspetto della vita e dell’opera di questo sommo artista, reclamando di continuo nuovi fatti, ipotesi, supposizioni e ovviamente dipinti, che vadano a implementare senza sosta il nostro già eccezionalmente cospicuo data-base dedicato a Caravaggio: un dossier che coinvolge anche gli aspetti più indiretti, nutrendosi delle triangolazioni più impalpabili come delle più spericolate connessioni di fatti e di significati, ma del quale, nondimeno, gli specialisti non mancano di rilevare con vivo rammarico, quando non proprio con sgomento, le circoscritte manchevolezze. Certo, resta qualche punto oscuro, in particolare legato alla formazione, ai tempi del fatidico arrivo a Roma e alle vicende che ne precedettero la tragica fine: ma, per quanto si tratti di aspetti rilevanti, un occhio esterno si sorprenderebbe nel constatare come le perduranti incertezze che li riguardano vengano percepite dalle legioni di studiosi che si occupano del Merisi come un vulnus insopportabile, cui si cerca di porre rimedio attraverso ricerche d’archivio, convegni e studi miscellanei che si susseguono senza sosta, conditi di polemiche spesso culminanti in conflitti accademici ad altissima temperatura. 
Le ragioni di tanta passione e accanimento, che confina col morboso, sono ormai diventate esse stesse oggetto di riflessione critica, con esiti che, direi inevitabilmente, finiscono per ruotare intorno alla presunta consonanza dello stile naturalistico e iper-espressivo della pittura di Caravaggio col sentimento se non con un ipotetico zeitgeist contemporaneo: ciò che, a cascata, ispira arditi collegamenti ideali con artisti del recente passato, o persino viventi, magari suggestive ma di dubbio costrutto gnoseologico [...]

link:


"Caravaggio, 1951. Tra immagini e documenti, la ricerca sulla mostra longhiana restituisce ancora novità", di Michele Cuppone




È il 21 aprile 1951 quando nelle sale di Palazzo Reale si inaugura a Milano la celebre Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi. Quasi settant’anni dopo, un volume di Patrizio Aiello edito da Officina Libraria, Caravaggio 1951, ne rispolvera le tante memorie, ne restituisce il contesto storico e culturale e sviluppa intorno a essa più ampie riflessioni – quest’ultime in particolare grazie agli autorevoli contributi di apertura e chiusura a firma di, rispettivamente, Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa
Qualche commento sul prodotto editoriale in sé, intanto. Che si presenta con una bella e appropriata copertina dal sapore retrò. Altre soluzioni tecniche risultano meno apprezzabili. La rilegatura in brossura delle 224 pagine, ne rende per così dire 'antipatica' la consultazione: esse non scorrono facilmente e un amante (ammettiamo pure un po' fanatico) del libro, inteso peraltro come articolo da custodire con cura, dovrà forzarne l’apertura, specie per i rimandi alle note che non sono a fondo pagina. Inoltre, in appendice, la scala di grigi adottata non sarà la migliore per distinguere i dati certi da quelli ipotizzati, identificati appunto con due gradazioni (poco) differenti di colore.
Passando piuttosto ai contenuti, sulla cui qualità e ricchezza non si discute, ciò che contraddistingue Caravaggio 1951 è anzitutto la ricostruzione per quel che possibile del percorso espositivo, grazie soprattutto ad alcuni scatti fotografici degli Archivi Alinari, vero punto di partenza della ricerca. La sezione iconografica consta in totale di 33 illustrazioni in bianco e nero, e non si può tacere che un formato maggiore avrebbe consentito di apprezzare meglio alcuni particolari (quadri visti di taglio, o più lontani dall’osservatore etc). L’autore si è comunque speso molto sugli ingrandimenti, fino a notare dettagli come i singoli libri in vendita nel bookshop di Palazzo Reale. 
Quest'ultimo punto, indice di accuratezza, non sembri al contrario un ostinarsi fino ad aspetti più di contorno, rispetto a un evento che di fatto è entrato nella mitologia. È così ad esempio che per il numero di visitatori si fanno cifre discordanti (e tutte stimate, se per stessa ammissione del commissario tecnico fu assente un «servizio statistico»): si va dal comunque ragguardevole «circa 400.000» che il volume menziona, al forse un po' troppo generoso «500.000» (da ultimo riportato tra i débats in "Studiolo" 8-2010). Certo è che fu una rassegna dalla portata straordinaria, mai vista prima e impensabile da potersi ripetere poi. Un “Miracolo a Milano”, verrebbe da dire evocando il film di Vittorio De Sica che uscì proprio in quel 1951. Aiello ne richiama i visitatori illustri, facendo menzione di Giorgio Morandi e di alcuni storici dell’arte e politici. Piace in questa sede ricordare anche il premio Nobel Dario Fo che, nello spettacolo del 2003 Caravaggio al tempo di Caravaggio, dichiarava di aver «partecipato addirittura all’allestimento»; forse un lapsus tuttavia se, nella trasposizione editoriale, scriverà più semplicemente di essere stato all’inaugurazione, invitato con tutti gli altri allievi dell’Accademia di Brera
E dunque l’immagine come cuore dell’opera bibliografica. Per cui, citando David Hockney, si giunge (in postfazione) a parlare di critica della fotografia e ci si sofferma sul rapporto tra realtà e sua riproduzione. Non è qui il solo coinvolgimento personale a impormi di aggiungere per completezza, rispetto al «quanto di meglio offre la fotografia contemporanea in uno scatto da photoservice» sui laterali Contarelli, un rimando a quella che è a la più aggiornata (2018) campagna fotografica a San Luigi dei francesi, eseguita da Mauro Coen (e già pubblicata da Sara Magister in Caravaggio. Il vero Matteo). Peraltro, anche chi scrive ha avuto occasione di fare, a partire da un esempio caravaggesco, una breve «riflessione sull’utilizzo delle riproduzioni fotografiche» e sui diversi risultati cui possono condurre negli studi, e per questo si rimanda al numero 23-2017 di “ArtItalies”. 
Tornando piuttosto alla mostra, è interessante seguirne la gestazione. Spuntano fuori difficoltà incontrate ma anche continue aggiunte di quadri in fase progettuale, grandi personalità che si sarebbero spese in suo favore o che viceversa non avrebbero favorito la concessione di taluni prestiti (fra queste, Giulio Andreotti e i non ancora saliti al soglio pontificio Giovanni XXIII e Paolo VI), dissapori tra membri della commissione per la scelta delle opere (su tutti, quelli tra il commissario tecnico Roberto Longhi e Lionello Venturi e, ancora, tra il primo e l’ICR, per non dire sia pure a livello più episodico tra il solito Longhi e Matteo Marangoni). Vien fuori persino che, come in reazione alla mancata concessione della Deposizione di Cristo, si pensò in un primo momento di esporre un suo supposto bozzetto, di cui oggi non si ha traccia. Qui l’autore, nel ricordare la vecchia ipotesi di Maurizio Calvesi di collegare al quadro vaticano lo «sbozzo» del dipinto pagato a Merisi da Fabio Nuti nel 1600, manca di precisare che lo stesso studioso romano, come in tanti d’altronde, è oramai giunto alla conclusione che quel bozzetto citato dal documento Nuti fosse pertinente non alla Deposizione, bensì alla Natività di Palermo (sull’intera questione, vedi uno specifico contributo su "Valori Tattili" 9-2017).
A ogni modo, almeno il quadro dell’oratorio di San Lorenzo andò in mostra, rimandando alla sua chiusura l’atteso restauro per cui prima non si era fatto in tempo. E lì, notizia questa inedita, sia pure solo per un particolare fu immortalato per la prima volta in una foto a colori [...]


link:


Caravaggio (?) trasferito nel cimitero (senza insegne)

La sepoltura con le presunte spoglie del Merisi è stata spostata al camposanto dove nulla la segnala Accuse dalla minoranza


Il sarcofago che contiene le ossa attribuite al Caravaggio ha trovato posto nel cimitero di Porto Ercole, anche se trovarlo al momento non è semplice; non c’è nessuna indicazione.
Fino ad alcune settimane fa la tomba con le presunte spoglie si trovava nel cuore di Porto Ercole, ora è stata spostata nel cimitero non lontano dal muretto perimetrale, circondata da una siepe d’alloro.
«Le insegne per rendere più facile trovarlo arriveranno», dice il sindaco di Monte Argentario Franco Borghini. Per il momento non c’è nemmeno nessuno, al cimitero, che possa fornire indicazioni sull’orario di apertura.
Lo spostamento della tomba a Porto Ercole aveva creato non poche polemiche. C’è chi neppure crede che il sarcofago contenga effettivamente le ossa del celebre pittore. Spoglie che furono “trovate”, studiate, analizzate e riportate a Porto Ercole ormai 9 anni fa da un comitato - era il 2010 - sotto la precedente amministrazione targata Arturo Cerulli che in quel progetto credeva e voleva investire.
La stessa giunta aveva posizionato il sarcofago al centro del paese: il monumento funerario doveva servire - sempre nelle intenzioni dell’ex amministrazione - come polo attrattivo, per portare cioè turisti e creare economia, con tutto l’indotto collegato (ristorazione, soggiorni in hotel, godimento dei servizi etc). Vista da questa prospettiva è diverso ora il caso, dato che la sepoltura si trova ora al cimitero prima di entrare in paese.
«Alcuni commercianti – dice Michele Lubrano, consigliere di minoranza – ieri mi hanno detto che i turisti cercano i resti del pittore e quando viene loro spiegato dove si trovano adesso storcono il naso, perché di certo non possono arrivarci a piedi ma devono di nuovo prendere la macchina e andare in un posto dove non c’è nulla. Avevamo raccolto 900 firme chiedendo che, se doveva essere spostato, il sarcofago venisse mantenuto in centro e non trasferito così lontano». Il sindaco e la giunta guidata da Borghini, però, hanno sempre sostenuto che l’avrebbero spostato e così è stato fatto. Per il primo cittadino, una tomba non può stare nel centro del paese ma «deve stare in un cimitero», tutt’al più in una chiesa.
Nella piazzetta in via Principe Umberto dove fino ad alcuni mesi fa si trovava l’arca funeraria adesso è stato realizzato - sempre dall’attuale amministrazione - uno spazio di verde pubblico, con aiuole e panchine. Qui, a quanto pare, il sarcofago non dovrebbe tornare.
Chi vorrà vedere le presunte spoglie del Merisi dovrà andare al cimitero e lo troverà, per il momento senza insegne. Un domani dovrebbero arrivare anche le relative indicazioni (fonte: Il Tirreno).

Disponibile online il saggio di Michele Cuppone sui dipinti di Caravaggio nella collezione di Ottavio Costa










Finalmente disponibile online l'articolo “un quadro ch’io gli dipingo”. Nuova luce su Caravaggio per Ottavio Costa, dalla Giuditta al San Giovanni Battista, di Michele Cuppone.
L'autore, getta nuova luce sui tre dipinti caravaggeschi della collezione di Ottavio Costa, rivedendone alcune cronologie. In particolare, nuove osservazioni su aspetti stilistici, documentari e non ultimo tecnico-diagnostici, permettono di legare la Giuditta a un documento del 21 maggio 1602. In quello specifico momento, il pittore doveva essere già al lavoro sull'opera e stava ricevendo almeno il secondo acconto per la stessa, come risulta da una più attenta lettura del documento. Parallelamente, il San Giovanni Battista di Kansas City viene riportato al 1604 circa e comunque a un periodo successivo al 14 settembre del 1603. L'interesse di Ottavio Costa per Caravaggio, pertanto, si concentra essenzialmente attorno agli anni 1602-1604 e viene da chiedersi se il San Francesco in estasi non sia entrato nelle mani del collezionista ligure qualche tempo dopo la sua data di esecuzione (avvenuta nell'ultimo quinquennio del XVI secolo).


L'articolo, oggi disponibile online, era inserito negli atti delle Giornate di Studi "Caravaggio e i suoi" (Monte Santa Maria Tiberina, Palazzo Museo Bourbon del Monte, 8-9 ottobre 2016)
Caravaggio e i suoi, a cura di Pierluigi Carofano e pubblicato da Felici Edizioni (Pontedera, 2017), risulta esaurito ed è consultabile in biblioteche specializzate. Sono presenti al suo interno, oltre a quello di Michele Cuppone, almeno altri sei contributi a tema più strettamente merisiano: Emilio Negro, rilegge la partitura musicale del Suonatore di liutoEnrico Lucchese, si sofferma sulla figura del padrino di battesimo di Merisi Francesco Sessa e sui suoi legami con l'area veneta; Francesca Curti, indaga i rapporti del pittore con botteghe d'arte e committenze a Roma e in particolare intorno alla Natività di Palermo; Mario Marubbi, pubblica una copia del San Francesco in preghiera di Cremona; Nicosetta Roio, immagina un arrivo pressoché in contemporanea di Caravaggio e di Mario Minniti a Roma intorno al 1595; Stefania Macioce, presenta un indizio sull'autografia o meno della discussa Giuditta di Tolosa.


link: