Rossella Vodret: da Milano a Parigi, importanti novità su Caravaggio dalle recenti esposizioni


Vorrei iniziare questo intervento riprendendo il discorso intorno alla mostra ‘Dentro Caravaggio’ di cui tanto si è discusso sulle pagine di questa rivista. 
La mostra, che si è voluto ricollegare idealmente sia alla grande esposizione milanese di Longhi del 1951 sia a quella allestita a Firenze e Roma nel 1990 – 1991 curata da Mina Gregori, ha rappresentato per tutti noi che vi abbiamo lavorato, una grande e affascinante sfida dal momento che abbiamo potuto presentare al grande pubblico i risultati, aggiornati realmente ad oggi, di quelli che sono i due filoni di ricerca che più stanno contribuendo a ridefinire i contorni storici, personali e tecnici di un artista straordinario come Michelangelo Merisi da Caravaggio
-da una parte, le ultime, spesso decisive, scoperte documentarie, a cominciare dalla grande revisione condotta dall‘Archivio di Stato di Roma
-dall’altra le recenti campagne di indagini diagnostiche sui quadri, condotte secondo le tecnologie più avanzate attualmente disponibili. Una ricerca avviata nel 2009 dalla Soprintendenza speciale del Polo museale romano sulle ventidue opere autografe ancora conservate a Roma e implementata, grazie al gruppo Bracco e alla disponibilità dei Musei prestatori, su altre tredici delle opere presenti a Palazzo Reale
Grazie a queste due campagne diagnostiche abbiamo oggi a disposizione analisi tecniche comparabili (tutte le analisi eseguite hanno seguito gli standard qualitativi dettati dall’ISCR) su trentacinque opere autografe di Caravaggio, di fatto la metà delle opere attendibilmente attribuite al grande pittore lombardo. Non poco … 

I documenti 

La fondamentale ricerca effettuata dall’Archivio di Stato di Roma ha consentito di fissare l’arrivo a Roma di Caravaggio al 1596 circa e non più al 1592 come si è creduto per molto tempo. Questo cambiamento di date ha portato inevitabilmente lo spostamento della cronologia di tutte le sue prime opere, che sono ora scaglionate in soli quattro anni invece di otto, creando non pochi problemi legati alla sua progressione stilistica e tecnica, divenuta ora velocissima. 
I nuovi documenti hanno però creato un misterioso vuoto di attività di Caravaggio tra il 1592 e il 1596. 
Una possibile ipotesi viene da una recentissima scoperta, nota solo da pochi mesi: è un manoscritto di Gaspare Celio del 1614, che contiene la prima biografia nota di Caravaggio: Caravaggio fu costretto a scappare da Milano a Roma per aver ucciso un suo compagno, in un oscuro episodio in cui furono coinvolti prostitute e sbirri, inseguito al quale Caravaggio si fece almeno un anno di carcere. Alessandro Zuccari pensa che Celio in realtà si riferisca all’uccisione di Tomassoni visto anche che tracce documentarie su questo ‘fattaccio’ non sono state ancora trovate, ma prima di escluderlo forse bisogna cercare ancora negli archivi lombardi. In ogni caso altre ipotesi sono possibili per riempire questo vuoto, prima tra tutte il famoso viaggio a Venezia citato da Bellori […]

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Caravaggio e la Musica. Presentazione dell'annale della Fondazione De Vito, l'1 febbraio a Firenze




Venerdì 1 Febbraio dalle ore 16.30 la Sala Convegni della Fondazione Biblioteche Cassa di Risparmio di Firenze, via Bufalini 6, ospiterà l’incontro per la presentazione del nuovo volume, il trentaduesimo, dell’annale della Fondazione De Vito “Ricerche sull’arte a Napoli in età moderna. Saggi e documenti 2017-2018”
L’evento è promosso dalla Fondazione Giuseppe e Margaret De Vito per la Storia dell’Arte moderna a Napoli, che ha sede nella villa di Olmo a Vaglia (Firenze). 
La Fondazione De Vito, costituita nel 2011 dal collezionista e studioso di Seicento napoletano Giuseppe De Vito per mettere a disposizione degli studi il patrimonio da lui raccolto, che comprende in particolare la collezione dei dipinti di Seicento napoletano, la biblioteca e la fototeca specializzate sul medesimo argomento, promuove la diffusione della cultura e dell’arte moderna napoletana con eventi, mostre, borse di studio a giovani studiosi e pubblicazioni scientifiche. Fra le attività si evidenzia la pubblicazione del periodico annuale, fondato da De Vito nel 1982, che ha rappresentato un importante punto di riferimento nazionale ed internazionale per gli studi sull’argomento e per la valorizzazione del patrimonio artistico meridionale. 
Dopo il saluto del Presidente della Fondazione, notaio Giancarlo Lo Schiavo, l’incontro sarà introdotto da Nadia Bastogi, Direttrice scientifica della Fondazione, che parlerà dell’annale nel contesto degli studi di Giuseppe De Vito e dell’attività odierna della Fondazione. 
Seguirà la presentazione del volume da parte di due autorevoli studiosi. Andrea Zezza, professore di Storia dell’Arte Moderna dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” affronterà soprattutto le tematiche storico artistiche dei diversi contributi, spazianti dalla pittura tardogotica del Maestro di Nola, alla scultura, alla ceroplastica, alla pittura e all’architettura barocche. Arnaldo Morelli, professore di Musicologia e Storia della Musica dell’Università dell’Aquila, approfondirà le tematiche connesse alla identificazione dello spartito dipinto nella tela con il Concerto di musici di Caravaggio, ora al Metropolitan Museum di New York, oggetto di uno dei saggi in volume. Saranno presenti alcuni autori. 
Ingresso libero

A cinquant’anni dal furto, 'torna' la "Natività" del Caravaggio a Palermo. A restituirla la banda di Lupin: il videoclip

La Natività del Caravaggio (trafugata nel 1969) viene simbolicamente restituita alla città di Palermo nel videoclip del cantautore siciliano Davide Campisi. Girotondo, presente nell’album Democratica (CNI Unite), è il titolo del brano per il quale Le Lune, produzione indipendente, ha realizzato il videoclip in cui la banda di Lupin risolve il giallo sul quadro più ricercato al mondo, trafugato dalla mafia.




La Natività del Caravaggio (trafugata nel ‘69) viene simbolicamente restituita alla città di Palermo nel videoclip del singolo “Girotondo” del cantautore siciliano Davide Campisi. “Girotondo” è il titolo del brano contenuto nell’album Democratica, prodotto dall’etichetta discografica CNI Unite di Paolo Dossena. Era il 1969 quando, dall’oratorio di San Lorenzo di Palermo, venne trafugata “La Natività” con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi del Caravaggio, un olio su tela di oltre 2 metri e mezzo per 2. Dopo un cinquantennio, tra misteri e indagini sul caso, la casa di produzione indipendente “Le Lune”, non nuova a certe provocazioni (si ricorda il Sicilian Space Program con il lancio di un cannolo siciliano nello spazio) realizza con Campisi, il videoclip in cui, con ironia, avviene la restituzione dell’opera alla città di Palermo tramite il ladro gentiluomo per eccellenza: Lupin. Con un occhio sempre attento alla loro terra Antonella Barbera e Fabio Leone, i giovani registi di “Le Lune”, hanno compiuto un’operazione che si traduce in un auspicio al ritrovamento dell’opera. 
A ispirare i registi ennesi, il sound anni ‘70 e il testo del brano di Davide Campisi "Girotondo" che pone l’accento sul filo sottile tra mafia e politica nei termini di un gioco che passa dalla subordinazione alla ribellione, nel girotondo che fa cascare un mondo il quale alla fine non casca mai. Le mani diventano il simbolo di tale gioco, sono mani che pregano, rubano, aiutano, accarezzano e si uniscono nella lotta per la libertà. Nel videoclip Lupin con la sua banda, nel gioco surreale del sogno per la giustizia e il potere sociale, si fa portavoce di un caso tutto siciliano in cui convivono arte, religione, potere mafioso e mercato clandestino. Il videoclip, girato tra il Palazzo Castrone-Santa Ninfa e il quartiere Ballarò di Palermo, unisce in nome dell’arte e di una verità ad oggi non ancora svelata, in un andirivieni di piste tra leggende e burle, giovani attori, appassionati di cosplay e artisti provenienti da tutta la Sicilia. A interpretare il famoso manga: Lorenzo Prestipino (Lupin), Salvatore Alonge (Jigen), Damiano di Bella (Goemon), Francesca Barbarossa (Margot), Andrea Sciacca (Zenigata) e, nelle straordinarie vesti del mafioso, Calogero Termine. La tela presente nel videoclip è la copia a grandezza naturale della Natività del Caravaggio, realizzata dallo stesso Calogero Termine, pittore e copista siciliano. Una copia in scala dell’opera voluta dalla Commissione Parlamentare Antimafia è stata donata a Papa Francesco, a testimonianza dell’interesse dell’artista siciliano nella ricerca della verità sulla Natività del Caravaggio e la sua attenzione circa le vicende giudiziarie legate alla questione irrisolta di uno dei furti più intriganti del mondo dell’arte (fonte: comunicato).


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Caravaggio davvero “Sine ira et studio”? Una lettura non compiacente del volume con gli Atti del Convegno, di Clovis Whitfield


Il volume da poco pubblicato “Il giovane Caravaggio ‘Sine ira et studio’”a cura di Alessandro Zuccari e di M. Cristina Terzaghi, De Luca editori, Roma 2018, segue la “Giornata di studi” tenutasi con identico titolo, a cura dello stesso Zuccari, alla Sapienza Università di Roma il 1 marzo 2017. Anche se nel volume molto è scritto su Caravaggio non altrettanto spesso vengono alla luce nuove informazioni importanti, anche se tra questa serie di saggi vi è un’anticipazione della Vita di Caravaggio di Gaspare Celio (dal MS del 1614) riemersa grazie alle ricerche di Riccardo Gandolfi, in attesa della pubblicazione del testo per intero. Come accadde con la scoperta che ilprimo avvistamento dell’artista a Roma avvenne durante la Quaresima del 1596, (si veda il catalogo della mostra all‘Archivio di Stato nel 2011 cfr Caravaggio a Roma. Una vita dal vero. Catalogo della mostra (Roma, 11 febbraio-15 maggio) a cura di M. Di SivoO. Verdi, De Luca editori) ci vorrà ancora un po'ò di tempo perché le nuove informazioni si diffondano e in ogni caso occorre ancora una certa cautela a prendere come prova definitiva la testimonianza di un semplice barbiere probabilmente resa sotto costrizione nel 1597, e questo vale anche riguardo al saggio Caravaggio in viaggio da Milano a Roma di Giacomo Berra (cfr. Il Caravaggio da Milano a Roma: problemi e ipotesi): il quale propone, nel frattempo, diversi itinerari (via le bellezze di Venezia, Padova, Bologna, Firenze, se non forse Ancona o Genova) . 
Va detto che la maggior parte degli scritti del volume prendono in considerazione la nuova datazione (1596) dell’arrivo del Merisi a Roma, in parte perché le sue prime opere sembrano corrispondere bene a un inizio nella bottega di Carli ‘il siciliano’ nel 1596. Significa però che non possiamo più parlare, come fa il titolo di questo volume, del ‘giovane Caravaggio‘ – oltre al fatto che quegli anni dal 1592 al 1596 sono diventati un mistero – visto che aveva già 25 anni cioè più della metà del corso della sua vita, quando è associato al suo primo (?) scalo a Roma. E comunque, dato quello che apprendiamo riguardo ad una travagliata partenza da Milano, è difficile immaginare che non sarebbe stato notato a Roma se fosse arrivato davvero nel 1592, visto che la sua vita finì da subito inevitabilmente sotto gli occhi del pubblico.
Nella biografia di Celio, di cui ci viene data un’anticipazione da Gandolfi (Cfr. “Notizie sul giovane Caravaggio dall’inedita biografia di Gaspare Celio“) le circostanze del coinvolgimento del Merisi con il cardinale Del Monte ci dicono alcune cose importanti che prima non sapevamo. Probabilmente avremmo anche potuto immaginare che fosse stato Prospero Orsi colui che avvicinò Caravaggio Del Monte, ma Celio è il primo a dirlo. In quel frangente l’artista era ancora apparentemente senzatetto, come lo era stato quando aveva lavorato inizialmente per Carli e dormiva in un rifugio di fortuna accanto alla statua di Pasquino (dietro Piazza Navona). Ma la cosa più interessante di tutte, è che ci dice che Orsi portò Caravaggio a dipingere alcune copie per il Cardinale. Gandolfi finora non ha fatto molta attenzione a questo dettaglio, che invece appare di grande rilevanza per la carriera dell’artista e per la specialità per la quale aveva evidentemente guadagnato una reputazione tale per cui veniva deriso dall’establishment. ‘Dopo desiderando il cardinale del Monte un giovane, che li andasse copiando alcuna cosa, Prosperino vi accomodò esso Michelangelo’
È affascinante l’idea che questo ragazzo godesse evidentemente già di un credito tale da essere ritenuto in grado di fare copie esatte, e infatti Del Monte aveva bisogno di un simile specialista – molti se non la maggior parte della sua vasta collezione di dipinti era composta da copie, visto che non era certo il più ricco tra i mecenati del tempo [...]

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"Caravaggio in dettaglio", recensione al nuovo libro di Stefano Zuffi


Pittore e assassino sullo sfondo solenne della Roma a cavallo tra Cinque e Seicento, Michelangelo Merisi da Caravaggio è uno degli artisti più appassionanti e potentemente espressivi: protagonista di una vera e propria Odissea mediterranea, ma insieme capace di rivoluzionare il corso della pittura europea. 
La sua produzione è ora ripercorsa in modo originale nel vivace volume Nel segno di Caravaggio di Stefano Zuffi, edito da Skira (2018). Una monografia sui generis dunque che, nel grande formato e nel ricco e preponderante apparato illustrativo, mette al centro i dettagli dei dipinti. E non a caso, Caravaggio in Detail (Ludion, 2016) è il titolo della prima edizione inglese di questa fortunata opera, cui è seguita quella tedesca Caravaggio. Meisterwerke im Detail (Verlag Bernd Detsch, 2017). Significativa sotto questo punto di vista la selezione di particolari, sui quali il nostro sguardo più volte si sarà appuntato; eppure, ci si rende conto sfogliando le quasi trecento pagine, c’è sempre qualcosa da scoprire
L’autore non ha bisogno di troppe presentazioni. Non esattamente uno studioso caravaggista in senso stretto, ma un grande divulgatore a tutto tondo con indubbie capacità comunicative e di narrazione. E Nel segno di Caravaggio non fa eccezione, nel rivolgersi con immediatezza e fascinazione al suo pubblico naturale, che è quello meno specialista ma non meno assetato di conoscenza attorno al grande pittore milanese. Un pubblico interessato agli aspetti per così dire più intriganti, quali il temperamento violento e l’identificazione dei modelli. Quest’ultimo tema è da anni fin troppo abusato e inficiato da notizie manipolate. Ciononostante esse continuano a essere tramandate, come avviene anche nel volume in oggetto. Nella passerella virtuale di modelle manca nondimeno la recente identificazione della Vergine della Natività di Palermo con la Giuditta di Palazzo Barberini. Va detto tuttavia che il testo è rimasto fermo al 2016 – è in sostanza quello della prima edizione, anzi ora apprezzabilmente emendato nella biografia da alcune sviste della prima ora. C’è dunque posto per alcuni aggiornamenti a seguito delle ultime acquisizioni, quali una revisione del soggiorno siciliano (la tappa palermitana è messa in dubbio), mentre non hanno fatto breccia le scoperte che hanno portato a posdatare la data di arrivo a Roma. 
A ogni modo i singoli dipinti non sono presentati in ordine cronologico, ma per temi – ben nove (Nature morte; Lame e acciaio; I sensi; Teste mozzate; Autoritratti nascosti; Modelli in posa; Gesti & espressioni; Il corpo; Animali) e sviluppati il più possibile con aderenza al dato biografico
Come in ogni monografia che si rispetti, non manca comunque un catalogo (sezione “Opere”) che peraltro, controcorrente, recupera un’attribuzione come il San Giovanni Battista di Toledo. Ulteriori ‘sorprese’ in tal senso si ritrovano nel corpo del testo (organizzato in forma di brevi commenti ai particolari iconografici), quali l’inserimento nel corpus caravaggesco del Sacrificio di Isacco già a Princeton e la cosiddetta Medusa Murtola [Battista e Isacco sono espunti, tra gli altri, da Gianni Papi, che li ritiene di Bartolomeo Cavarozzi, vedi recente intervista su About Art online].
Come scrive l'autore nell’introduzione “I quadri del Merisi sollecitano intensamente i nostri sensi, e comunicano un’emozione, una passione del tutto diversa rispetto al piacere intellettuale procurato dalla pittura precedente o agli intenti pedagogici dell’arte sacra della Controriforma”. Una peculiarità che ci è ricordata nelle immagini pubblicate e quasi siamo spinti, (ri)partendo dai dettagli, a guardare con un occhio nuovo ai capolavori assoluti del genio
Da segnalare infine la bella veste editoriale dell’opera, con copertina cartonata (fonte: About Art online).

"Caravaggio, doppi e copie: riemerge un’altra versione della 'Buona ventura' del Campidoglio. I primi dati tecnici", di Nicosetta Roio

Riemerge un'altra versione della “Buona ventura” di Caravaggio conservata alla Pinacoteca Capitolina: potrebbe trattarsi di un suo “doppio” giovanile?



È noto che Michelangelo Merisi da Caravaggio (Milano, 1571-Porto Ercole, 1610) ebbe modo di entrare nell’orbita del cardinale Francesco Maria del Monte a Roma grazie all’interessamento dell’amico Prospero Orsi delle Grottesche. Il prelato (così narra la biografia di Gaspare Celio scoperta di recente) cercava un giovane pittore che dipingesse delle copie e Prospero gli presentò l’amico lombardo, particolarmente bisognoso nei suoi primi tempi trascorsi nell’Urbe. Ciò conferma l’attitudine giovanile del Merisi alla copia, come si deduce da più testimonianze storiografiche, e tale circostanza stimola ulteriori ragionamenti sullo spinoso tema delle repliche di sue invenzioni, soprattutto quelle più precoci, una delle questioni assai intriganti che da lungo tempo viene affrontata dagli studi caravaggeschi. 
Non di tutti i dipinti eseguiti dal Caravaggio si conoscono redazioni coeve: la maggior parte delle copie da sue opere furono prodotte tra il 1610 e il 1640 circa, più o meno a partire dal momento della sua drammatica scomparsa fino alle prime avvisaglie dell’arte barocca. È sempre stato giudicato singolare il fatto che esistano relativamente poche copie contemporanee dei quadri eseguiti dal Merisi nel periodo trascorso a Palazzo Madama presso del Monte, che vi ospitò per alcuni anni l’artista da lui stipendiato: ad esempio fino ad ora della Buona ventura, o Zingara (conservata nelle raccolte capitolinee già documentata ab antiquo nella collezione del cardinale fino alla vendita all’asta nel 1628, anno successivo alla morte di del Monte) erano note solo due traduzioni assai tarde, cioè ottocentesche: una su tela di identiche dimensioni rispetto all’originale, l’altra su rame di cm 35 x 45.
Le citazioni storiografiche relative a questo particolare soggetto iconografico caravaggesco non risolvono definitivamente le questioni relative alla genesi dell’opera, un problema che si intreccia con l’esistenza di un’altra versione, parimenti autografa, e altrettanto ben nota. Si tratta della tela conservata al Musée du Louvre, che corrisponde al quadro del Caravaggio che secondo lo storiografo seicentesco Giulio Mancini era di proprietà di Alessandro Vittrice (o Vittrici), parente di Prospero Orsi. Purtroppo non è stato ancora possibile chiarire del tutto se “la Zingara” venduta dal Caravaggio per soli otto scudi, ricordata in altra parte del manoscritto di Mancini, corrisponda alla versione del Monte o a quella Vittrice. 
A complicare non poco tutta la questione riemerge ora un’altra versione della Buona ventura dalmontiana, realizzata nella medesima epoca e pressoché fedele dal punto di vista della composizione, anche se di dimensioni inferiori (cm 92,5 x 120) rispetto all’originale capitolino, che rivela alcune caratteristiche tecniche e stilistiche piuttosto interessanti. In attesa di ulteriori approfondimenti specialistici, attualmente è possibile rendere note alcune sue peculiarità, che potrebbero dimostrarsi utili a un ulteriore approfondimento dell’argomento relativo ai cosiddetti “doppi” caravaggeschi [...]


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"Il vero Caravaggio e la guerra delle Maddalene", di Dario Pappalardo


Mina Gregori mentre vede per la prima volta insieme le due opere a Parigi

Nella guerra delle Maddalene, il colpo di scena è questa signora di 95 anni, scesa alla Gare de Lyon dopo sette ore di treno. Mina Gregori, classe 1924, l’erede di Roberto Longhi, decana della storia dell’arte, è a sorpresa a Parigi per rivedere il “suo” Caravaggio. «È l’ultima occasione di osservare le Maddalene fianco a fianco», dice. Scende al binario e prende un taxi per il museo Jacquemart-André. Dove c’è la mostra dei record, “Caravage à Rome”, curata da Francesca Cappelletti con Pierre Curie e Cristina Terzaghi: oltre 210mila visitatori si sono messi in fila da fine settembre sul Boulevard Haussmann (aumenteranno: chiude il 28 gennaio). Gregori, accompagnata dalla nipote, si fa largo verso l’ultima sala con le Maddalene in estasi mai esposte prima insieme: la Klain e la “sua”, da lei ritrovata e attribuita a Caravaggio nell’ottobre 2014 in un’intervista a Repubblica. Da allora non l’aveva più vista. «Guardate le mani che si intrecciano, la composizione dello spazio: è un quadro bellissimo». E la Klain? 
«Anche questo è un dipinto molto interessante, difficile trovare qualcuno che copiasse Caravaggio così bene. C’è ancora da studiare»
L’allieva di Longhi, l’uomo che nel Novecento riscoprì il pittore maledetto, lo consegnò alla storia e al mito pop, parla e negli spazi del museo il tempo si ferma. Parte qualche flash. Mina Gregori visita gli altri capolavori, alcuni scoperti da lei: «Il suonatore di liuto dell’Ermitage è uno dei miei preferiti. E il San Francesco in meditazione l’orgoglio della pinacoteca della mia Cremona». 
Gli studiosi del Seicento italiano si contendono uno scatto con Mina: tutti si sono formati sui suoi saggi. 
Sono a Parigi perché qui si sta consumando un nuovo atto della Caravaggeide. L’Istituto italiano di cultura di Rue de Varenne ha ospitato ieri un convegno nato a margine della mostra al Jacquemart che promette “novità e riflessioni” sull’artista. Caravaggisti di tutto il mondo, o quasi, si succedono in cattedra per oltre sei ore: i posti sono esauriti e, seduti nella ex casa di Talleyrand, non ci sono soltanto specialisti. La contesa tra le Maddalene ruba ancora la scena. 
Per la prima volta, vengono presentate le analisi radiografiche sulle due opere. Cecilia Frosinini dell’Opificio delle Pietre Dure illustra quelle sulla Klain, ma con una premessa: «Le analisi non possono fornire l’autografia. Nella storia dell’arte corriamo il rischio di una fase positivista in senso negativo: il dato analitico non è una verità di per sé. L’occhio degli storici dell’arte resta fondamentale». Ma i raggi X una certezza la danno: l’opera Klain non presenta pentimenti. Dagli infrarossi risultano sottilissime linee grafiche, tracce di disegno. Ma l’autore aveva già bene in testa la sua composizione. Come accade, in generale, alle copie. Per la Maddalena Gregori, che contende alla Klain il titolo di “originale”, il discorso cambia. Qui i ripensamenti ci sono. E si sa che Caravaggio non usava disegni preparatori. La spalla destra della santa, ora nuda, era in una prima stesura coperta dalla camicia e il manto rosso era più esteso nel margine sinistro della tela. Claudio Falcucci, ingegnere nucleare, che ha raccolto con Rossella Vodret la diagnosi su 35 quadri certi di Merisi (22 conservati a Roma) è serafico: «La scienza non può dare una risposta certa. Ma nel caso della Maddalena Gregori le modifiche all’idea di partenza sono abbastanza evidenti e non ci sono elementi che contrastano con la prassi di lavoro utilizzata da Caravaggio nei dipinti realizzati dopo la fuga da Roma, nel 1606»
Insomma, anche gli infrarossi dicono che la Maddalena potrebbe essere proprio quella che Caravaggio portava con sé sulla barca, nell’ultimo viaggio conclusosi con la morte a Porto Ercole il 18 luglio 1610. «Due San Giovanni e la Maddalena» erano i soggetti descritti da Diodato Gentile, vescovo di Caserta, in una lettera a Scipione Borghese datata 29 luglio 1610. Il cardinale collezionista riuscì a mettere le mani solo sul San Giovanni, che è ancora oggi nella Galleria romana con altri cinque Caravaggio. «Dai rilievi sul pigmento del San Giovanni risultano infatti sali marini - precisa la direttrice della Borghese Anna Coliva - il dipinto è stato a contatto col mare». Con quale Maddalena: la Klain o la Gregori? «Sono due opere di qualità altissima. Caravaggio non replicava quasi mai le sue opere, ma questo potrebbe essere un caso eccezionale». Mentre le analisi tecniche mostrano una distanza tra le due Maddalene, gli storici dell’arte, almeno durante il convegno, preferiscono non esporsi in maniera netta. Nel 1998, i proprietari della Klain avevano offerto il quadro - già sottoposto a vincolo - allo Stato italiano per 10 miliardi di lire. Nel 2002 il comitato di settore del ministero dei Beni culturali respinse l’acquisto con una relazione di Rossella Vodret che non riscontrava «elementi per confermare l’autografia caravaggesca». La scoperta di Mina Gregori del 2014 ha dato ragione a quella cautela. La proprietà e la collocazione del nuovo quadro entrato della storia dell’arte restano, però, ufficialmente un mistero. Oggi gli studiosi francesi presenti all’Istituto italiano di cultura, a partire dall’ex direttore del Louvre Pierre Rosenberg, preferiscono il no comment sull’attribuzione. Gianni Papi, che a Caravaggio ha dedicato decine di studi, è sicuro che la Maddalena sia stata dipinta a Napoli nel 1610. Passa in rassegna con le slide una decina di copie, a partire da quelle del fiammingo Louis Finson che riprendono il soggetto Gregori con la croce e il teschio assenti nella Klain: «Chissà, magari Finson stesso si accaparrò il dipinto e lo replicò più volte in Francia del sud, dove il culto della Maddalena era diffusissimo». «La Klain è di Finson», ribatte Silvia Danesi Squarzina. Ma la Caravaggeide offre altre trame: «Sono ancora da ritrovare le quattro storie della Passione che Caravaggio dipinse a Messina», ricorda Papi. E di svolte improvvise, tanto per tacere sul mistero della Natività rubata a Palermo nel 1969, rischiano di essercene ancora: «Il ritratto di Fillide, la cortigiana modella di Caravaggio, più che distrutto a Berlino nel 1945, potrebbe essere nei caveau russi», sostiene Danesi Squarzina. E la dubbia Giuditta che taglia la testa di Oloferne, scoperta a Tolosa nel 2016, non è più vincolata dallo Stato francese. Restaurata ed esposta nell’atelier parigino del mercante Eric Turquin, aspetta di fare colpo sul mercato e di far riparlare di sé. Perché la vera maledizione di Caravaggio è questo suo essere sempre in bilico tra la realtà estrema dei suoi quadri e la strepitosa fiction che il tempo gli ha costruito su
(fonte: la Repubblica, 10 gennaio 2018).

"Alla scoperta di Caravaggio. Studio tecnico e restauro di Santa Caterina d'Alessandria", in mostra a Madrid

Fino al 26 maggio in mostra al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid



Il Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, in collaborazione con Asisa, presenta nelle sue sale il risultato del restauro e dello studio tecnico di una delle opere più emblematiche della sua collezione: Santa Caterina d'Alessandria del Caravaggio. L’allestimento include aspetti interessanti del processo creativo e approfondisce il modo di lavorare del pittore. 
Per lo studio tecnico sono stati utilizzati diversi metodi, come i raggi X, i riflessi a infrarossi, l'analisi dei materiali e una documentazione fotografica esaustiva. Grazie a questa metodologia, è stato possibile specificare la tecnica e la composizione dei materiali, nonché la loro distribuzione nei diversi strati e le rettifiche apportate dall'artista italiano. 
Il processo di restauro del museo ha consentito di recuperare il movimento dei volumi, la sottigliezza dei garofani e la delicatezza delle texture. Una volta rimossi gli strati di vernice, il dipinto prende vita e sembra molto più vicino a come è stato concepito oltre quattro secoli fa. 
Il quadro viene esposto nella sala 11 in un allestimento espositivo che comprende immagini radiografiche e a infrarossi che illustrano gli aspetti più interessanti del lavoro svolto. La mostra è completata da un video che illustra l'intero processo di restauro, le scoperte più significative e i particolari più interessanti dell'opera (fonte: Sito ufficiale del Turismo di Madrid)

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"La Natività di Caravaggio è in Sicilia", di Roberta Scorranese

Dopo le puntuali ricostruzioni rese note dalla Commissione parlamentare antimafia sul furto della Natività di Palermo,  a cinquant'anni dal crimine commesso, inaspettatamente ora si fanno sentire versioni alternative (e qualche perplessità). Quella che segue si aggiunge, nell'ordine, a quanto dichiarato dai pentiti Franco Di Carlo (link) e Vincenzo Calcara (link), dall'architetto Ludovico Gippetto (link), e dal Presidente degli Amici dei Musei Siciliani Bernardo Tortorici e dall'investigatore Charles Hill (link). Parla ora il detective Arthur Brand. A ogni modo, dopo la relazione conclusiva della Commissione antimafia, il 18 giugno 2018 la Procura di Palermo ha riaperto un fascicolo sul caso, seppur contro ignoti, con l'indagine assegnata al procuratore aggiunto Marzia Sabella e al pm Roberto Tartaglia (link)



Ho ho bravi informatori sparsi in tutto il mondo. E quelli italiani mi dicono che la Natività di Caravaggio, sparita da Palermo nel 1969, si trova in Sicilia ed è perfettamente integra». Una cosa è certa: Arthur Brand ha davvero bravi informatori, cioè una rete internazionale di contatti che gli ha permesso di diventare uno dei detective dell’arte più noti e affidabili. Perciò le parole che l’investigatore olandese ha deciso di affidare a «la Lettura» a cinquant’anni dal furto più clamoroso della storia dell’arte del Novecento vanno lette attraverso una molteplicità di significati. 
Brand parla dai suoi uffici di Amsterdam, città dove vive e lavora. Ha appena concluso un ritrovamento al quale teneva molto, un mosaico di epoca bizantina che era stato trafugato da un luogo di culto di Cipro dopo l’invasione turca del 1974. «Un lavoro che mi ha impegnato per tre anni - racconta - e sa che cosa ho fatto nella maggior parte del tempo? Ho aspettato. Il mio lavoro non è per persone poco pazienti». Protagonista di numerosi ritrovamenti (dai cavalli di bronzo spariti dal palazzo della Cancelleria di Hitler durante la Seconda guerra mondiale a diverse tele di Salvador Dalí e di Tamara de Lempicka), Brand ha collaudato un metodo: lui interviene a freddo, cioè uno o due anni dopo la scomparsa di un’opera d’arte, «quando le indagini della polizia diventano, per forza di cose, più rarefatte, perché loro hanno altro a cui pensare », puntualizza.
Quindi il detective si cala in un sottobosco fatto di trafficanti, piccoli e grandi, di mercanti più o meno equivoci, di mediatori che poi si dissolvono. Fa domande, compone piste e semina le sue «esche». Quindi si siede e aspetta. «Prima o poi – dice – qualcuno si farà vivo. Perché ci sarà sempre un personaggio implicato nella vicenda che ha interesse affinché un’opera d’arte torni a casa. Faccio qualche esempio: potrebbe esserci un mercante concorrente al quale è stato “soffiato” un affare e chiede vendetta. Se invece dall’altra parte c’è un falsario noto nell’ambiente, si può usare il grimaldello della giustizia. Il gioco sta nell’avvicinare i rivali del ricercato e l’abilità di quelli come me risiede nell’individuare il prima possibile queste persone, diciamo, “interessate”». 
Però nel caso palermitano ogni dubbio è lecito: la scomparsa della Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi (la grande tela dipinta da Caravaggio per l’Oratorio di San Lorenzo nei primi del Seicento, durante il soggiorno siciliano – ma nel 1600 secondo recentissime acquisizioni, ndC400), avvenuta nell’ottobre del 1969, è una storia nera dalla struttura simile a un romanzo di Sciascia. Mezze verità, bugie, depistaggi, «soffiate»: le ombre si sono stratificate sulle ricerche e ormai si confondono con le dichiarazioni di almeno sei pentiti di mafia, sconfinando nella fiction. Tanto è vero che la vicenda ha ispirato romanzi e film: l’ultima opera cinematografica, dal titolo Una storia senza nome, è uscita nelle sale in autunno con la regia di Roberto Andò
Eppure Brand si dice convinto che un nome questa storia ce l’abbia. «Ho seguito gli aspetti più controversi della sparizione del Caravaggio – dice – e conosco le varie versioni: da quella che lo vorrebbe rosicato dai topi a quella, forse la più diffusa, che lo vuole fatto a pezzi da un mercante svizzero al quale era stato venduto dalla mafia e venduto così, a frammenti, a qualche mese dalla sparizione. Ma io ho parlato con alcune persone delle quali mi fido: mi hanno assicurato che il dipinto, del tutto integro, non ha mai lasciato la Sicilia». Per la verità questa è una versione fornita anche da un collaboratore di giustizia, Franco Di Carlo, il quale nell’estate scorsa sostenne di aver visto la Natività nel 1981 – anni dopo il furto – nella casa di un boss di Partanna Mondello, sobborgo di Palermo. 
Ma chi possiede adesso il Caravaggio? «La mia tesi, che poi è quella dei miei informatori italiani – sostiene il detective olandese –, è che la tela adesso non sia più in mano alla mafia. Apparterrebbe a una famiglia che teme di farsi avanti perché quella tela indubbiamente “scotta”. È una delle situazioni più frequenti in questi casi: inizialmente l’opera sparisce per mano della criminalità ma poi, dopo tanti anni, finisce nelle case di persone distanti da quei mondi, o almeno non implicate direttamente con la malavita. Qualche volta il proprietario ha acquistato il bene in perfetta buona fede. E sa che cosa accade spesso? Che decida di liberarsene per non avere problemi. È così che i Picasso e i Matisse finiscono bruciati, nello stupore di tutti». Brand dichiara che quest’anno, a coronamento di una carriera di successo, si trasferirà temporaneamente in Sicilia per cercare quello che è il Sacro Graal per chiunque faccia il suo lavoro. E, tramite «la Lettura», diffonde un appello: «Oggi l’interesse di tutti è che quel dipinto torni a casa. Per questo mi rivolgo a chi lo possiede in questo momento e lo invito a farsi avanti, anche contattando me, se preferisce, in modo che io poi possa fare da tramite con le forze dell’ordine e trovare soluzioni affinché gli innocenti non ci rimettano e non si sentano posti sotto accusa». 
Brand sottolinea più volte che le sue intenzioni non sono e non sono mai state quelle di sostituirsi ai Carabinieri, specie al Nucleo per la Tutela del Patrimonio culturale (che elogia con parole come «la migliore forza al mondo in questo settore»), bensì si propone come intermediario, come un «ponte» tra un eventuale proprietario del dipinto e la giustizia. 
Poi, a proposito di Graal, Brand rivela l’altro grande oggetto del desiderio di tutti quelli che fanno il suo lavoro, cioè il Cristo nella tempesta sul mare di Galilea, l’unico paesaggio marino dipinto da Rembrandt nel 1633 e rubato dall’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston nel 1990. Anche questo è un enigma che ha alimentato suggestioni cinematografiche, musicali e televisive. Il detective olandese ci lavora da tempo ed è giunto a una conclusione: «Sono convinto che si trovi nelle mani dell’Ira, l’Irish Republican Army. Eppure, il Caravaggio resta il principale obiettivo. In un paese come l’Italia la sparizione di un dipinto è una ferita che brucia anche in chi italiano non è».

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"Caravaggio Sconosciuto", spettacolo-dibattito con Franco Moro e Filippo Maria Ferro, 15-16 gennaio a Roma


Le numerose proposte contenute nel volume Caravaggio sconosciuto. Le origini del Merisi, eccellente disegnatore, maestro di ritratti e di "cose naturali" di Franco Moro (Allemandi editore 2016, 372 pagine, 160 figure b/n, 203 tavole a colori, 90 euro) trovano espressione al Teatro di Documenti a Roma in via Zabaglia a Testaccio.
Uno spettacolo, per la regia di Danilo Gattai, che si apre con il dialogo di due giovani attori, Valentina Di Blasi e Lorenzo Rastelli. Al dialogo, segue la presentazione dei contenuti e delle immagini delle opere con il relativo dibattito con il pubblico a cura dello stesso Franco Moro e  di Filippo Maria Ferro.
Un'opportunità per conoscere un nuovo punto di vista che illumina gli esordi del Merisi.

Il volume Caravaggio sconosciuto, costituisce il presupposto per imbastire il processo ad un artista dirompente, scomodo e pericoloso. Processo a un genio sovversivo che sconvolge il modo di creare e vedere l’arte figurativa e il mondo, il modo di vedere la relazione uomo dio; in un mondo traballante, appena uscito dalle nuove norme del Concilio di Trento, dalla morte di san Carlo Borromeo, dal rogo a Roma di Giordano Bruno, sconvolto e vacillante sotto i colpi delle idee rivoluzionarie di Galileo. 
Il processo come scontro ideologico, il processo al nuovo per mettere attenzione sul contesto storico del periodo e per far capire l'apertura sul Seicento, il vuoto che si apre in seguito alle idee rivoluzionarie e innovative, alla nuova cultura che stravolge la visione della Chiesa e per evidenziare che solo dal momento in cui le opere di Merisi vengono immediatamente tolte dagli altari Caravaggio viene visto come pittore maledetto (fonte: comunicato).

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"A proposito di un dipinto siglato ‘M.M. f.’. Ancora sui 'doppi' e le copie da Caravaggio e qualche equivoco su Prospero Orsi", di Nicosetta Roio



M.M. (Michelangelo Merisi Mario Minniti Maurizio Marini) 

Il tema dei “doppi” e delle copie da Caravaggio è tra i più affrontati dagli studi moderni, Mario Minniti. al contrario delle fonti seicentesche che l’hanno quasi del tutto ignorato; eppure quel tipo di produzione sembrerebbe essere stata piuttosto fiorente, a giudicare dal consistente numero di opere gradualmente riemerse dall’oblio. Il più antico tra gli storiografi del Merisi, Giulio Mancini, testimonia come nel 1607 circolassero già copie anonime da suoi dipinti. Se è risaputo che la maggior parte delle copie da Caravaggio furono prodotte tra il 1610 e il 1640 circa, dunque più o meno a partire dall’epoca della drammatica scomparsa del maestro fino alle prime avvisaglie dell’arte barocca, non si sa però con certezza quando prese avvio questa pratica, che pare a lui non fosse del tutto gradita, per lo meno dopo la sua consacrazione ufficiale sulla scena artistica romana: lo si deduce, per esempio, dalle deposizioni nel famoso processo per diffamazione intentato da Giovanni Baglione nel 1603, quando il Merisi usò il verbo “impiastricciare” riferito a Mao Salini, un termine spregiativo utilizzato a quei tempi proprio per “bollare chi, incapace di vera creatività, fa copie e falsificazioni”
Ancora il Mancini ricorda che nei primi poverissimi tempi romani Michelangelo da Caravaggio fece “copie di devotione” per “Monsignor Insalata” (Pandolfo Pucci) ed è ormai notorio l’impiego del lombardo nella realizzazione di dipinti seriali in diverse botteghe, per quanto modeste, del centro di Roma. Ciò consente di non escludere a priori la possibilità che, almeno nella prima fase romana di estremo bisogno, il Merisi replicasse – per vendere e, dunque, guadagnare qualcosa per sopravvivere – alcune proprie invenzioni di cultura “giorgionesca”: tali erano giudicate nella capitale quelle pitture caratterizzate dal “tonalismo” lombardo-veneto “esportato” da Michelangelo in un’Urbe dominata dalla cultura post-raffaellesca, artificiosa ed elegante, del futuro “Cavalier” d’Arpino. E’ inoltre razionalmente assai probabile che pure qualche suo compagno di lavoro possa essersi cimentato nella replica di insoliti soggetti figurativi come il “Mondafrutto”, il “Ragazzo morso dal ramarro”, quello con caraffa di rose, ecc., ricordando che ognuna delle redazioni note è stata accettata o rifiutata a seconda delle interpretazioni tecniche e critiche di ciascuno studioso intervenuto sull’argomento, al contrario di altre composizioni del Caravaggio replicate con più significative varianti e accettate come autentiche senza riserve: si vedano ad esempio la Buona ventura e la Cena in Emmaus, mentre la questione della “doppia” redazione del Suonatore di liuto è più contestata dal momento che negli ultimi tempi non tutti gli studiosi sembrano più credere all’autografia del Merisi per la versione già Wildenstein
Certo è che, fino al tragico omicidio di Ranuccio Tommasoni del 1606, non erano ancora moltissime le repliche da Caravaggio in circolazione: ad esse è stato spesso associato il nome di uno dei più stretti amici del maestro lombardo, Prospero Orsi, detto delle Grottesche. Definito romano sia dal Mancini che da Giovanni Baglione, quest’ultimo fu più precisamente di famiglia viterbese (di Stabia, oggi Faleria), certamente non di Brescia, come talvolta viene ancora detto, a causa della omonimia del tutto parziale con lo scultore – parimenti attivo nella capitale – Prospero Antichi detto, appunto, il Bresciano. Ma non è questo l’unico fraintendimento che aleggia intorno alla personalità dell’Orsi: in attesa dello studio monografico su questo artista annunciato da Riccardo Gandolfi, poche sono attualmente le certezze sulla sua attività prettamente pittorica, per lo più legata alle decorazioni a grottesche (non a caso gli fu affibbiato proprio quel soprannome), una specialità artistica ben poco considerata [...]

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Incontro "Caravaggio allo specchio", il 18 gennaio a Roma


Per il ciclo di incontri "L'arte siamo noi" si terrà venerdì 18 gennaio, alle 17.00 presso l'Accademia Urbana delle Arti (piazza Enrico Dunant, 55), l'appuntamento "Caravaggio allo specchio". Questi gli interventi previsti:

Stefania Macioce
Caravaggio e la musica

Rodolfo Papa
Caravaggio, la Grazia e la libertà

Sergio Rossi
Caravaggio tra salvezza e perdizione

Per prenotazioni e informazioni, contattare accademiaurbanadellearti@gmail.com