Mina Gregori mentre vede per la prima volta insieme le due opere a Parigi |
Nella guerra delle Maddalene, il colpo di scena è questa signora di 95 anni, scesa alla Gare de Lyon dopo sette ore di treno. Mina Gregori, classe 1924, l’erede di Roberto Longhi, decana della storia dell’arte, è a sorpresa a Parigi per rivedere il “suo” Caravaggio. «È l’ultima occasione di osservare le Maddalene fianco a fianco», dice. Scende al binario e prende un taxi per il museo Jacquemart-André. Dove c’è la mostra dei record, “Caravage à Rome”, curata da Francesca Cappelletti con Pierre Curie e Cristina Terzaghi: oltre 210mila visitatori si sono messi in fila da fine settembre sul Boulevard Haussmann (aumenteranno: chiude il 28 gennaio). Gregori, accompagnata dalla nipote, si fa largo verso l’ultima sala con le Maddalene in estasi mai esposte prima insieme: la Klain e la “sua”, da lei ritrovata e attribuita a Caravaggio nell’ottobre 2014 in un’intervista a Repubblica. Da allora non l’aveva più vista. «Guardate le mani che si intrecciano, la composizione dello spazio: è un quadro bellissimo». E la Klain?
«Anche questo è un dipinto molto interessante, difficile trovare qualcuno che copiasse Caravaggio così bene. C’è ancora da studiare».
L’allieva di Longhi, l’uomo che nel Novecento riscoprì il pittore maledetto, lo consegnò alla storia e al mito pop, parla e negli spazi del museo il tempo si ferma. Parte qualche flash. Mina Gregori visita gli altri capolavori, alcuni scoperti da lei: «Il suonatore di liuto dell’Ermitage è uno dei miei preferiti. E il San Francesco in meditazione l’orgoglio della pinacoteca della mia Cremona».
Gli studiosi del Seicento italiano si contendono uno scatto con Mina: tutti si sono formati sui suoi saggi.
Sono a Parigi perché qui si sta consumando un nuovo atto della Caravaggeide. L’Istituto italiano di cultura di Rue de Varenne ha ospitato ieri un convegno nato a margine della mostra al Jacquemart che promette “novità e riflessioni” sull’artista. Caravaggisti di tutto il mondo, o quasi, si succedono in cattedra per oltre sei ore: i posti sono esauriti e, seduti nella ex casa di Talleyrand, non ci sono soltanto specialisti. La contesa tra le Maddalene ruba ancora la scena.
Per la prima volta, vengono presentate le analisi radiografiche sulle due opere. Cecilia Frosinini dell’Opificio delle Pietre Dure illustra quelle sulla Klain, ma con una premessa: «Le analisi non possono fornire l’autografia. Nella storia dell’arte corriamo il rischio di una fase positivista in senso negativo: il dato analitico non è una verità di per sé. L’occhio degli storici dell’arte resta fondamentale». Ma i raggi X una certezza la danno: l’opera Klain non presenta pentimenti. Dagli infrarossi risultano sottilissime linee grafiche, tracce di disegno. Ma l’autore aveva già bene in testa la sua composizione. Come accade, in generale, alle copie. Per la Maddalena Gregori, che contende alla Klain il titolo di “originale”, il discorso cambia. Qui i ripensamenti ci sono. E si sa che Caravaggio non usava disegni preparatori. La spalla destra della santa, ora nuda, era in una prima stesura coperta dalla camicia e il manto rosso era più esteso nel margine sinistro della tela. Claudio Falcucci, ingegnere nucleare, che ha raccolto con Rossella Vodret la diagnosi su 35 quadri certi di Merisi (22 conservati a Roma) è serafico: «La scienza non può dare una risposta certa. Ma nel caso della Maddalena Gregori le modifiche all’idea di partenza sono abbastanza evidenti e non ci sono elementi che contrastano con la prassi di lavoro utilizzata da Caravaggio nei dipinti realizzati dopo la fuga da Roma, nel 1606».
Insomma, anche gli infrarossi dicono che la Maddalena potrebbe essere proprio quella che Caravaggio portava con sé sulla barca, nell’ultimo viaggio conclusosi con la morte a Porto Ercole il 18 luglio 1610. «Due San Giovanni e la Maddalena» erano i soggetti descritti da Diodato Gentile, vescovo di Caserta, in una lettera a Scipione Borghese datata 29 luglio 1610. Il cardinale collezionista riuscì a mettere le mani solo sul San Giovanni, che è ancora oggi nella Galleria romana con altri cinque Caravaggio. «Dai rilievi sul pigmento del San Giovanni risultano infatti sali marini - precisa la direttrice della Borghese Anna Coliva - il dipinto è stato a contatto col mare». Con quale Maddalena: la Klain o la Gregori? «Sono due opere di qualità altissima. Caravaggio non replicava quasi mai le sue opere, ma questo potrebbe essere un caso eccezionale». Mentre le analisi tecniche mostrano una distanza tra le due Maddalene, gli storici dell’arte, almeno durante il convegno, preferiscono non esporsi in maniera netta. Nel 1998, i proprietari della Klain avevano offerto il quadro - già sottoposto a vincolo - allo Stato italiano per 10 miliardi di lire. Nel 2002 il comitato di settore del ministero dei Beni culturali respinse l’acquisto con una relazione di Rossella Vodret che non riscontrava «elementi per confermare l’autografia caravaggesca». La scoperta di Mina Gregori del 2014 ha dato ragione a quella cautela. La proprietà e la collocazione del nuovo quadro entrato della storia dell’arte restano, però, ufficialmente un mistero. Oggi gli studiosi francesi presenti all’Istituto italiano di cultura, a partire dall’ex direttore del Louvre Pierre Rosenberg, preferiscono il no comment sull’attribuzione. Gianni Papi, che a Caravaggio ha dedicato decine di studi, è sicuro che la Maddalena sia stata dipinta a Napoli nel 1610. Passa in rassegna con le slide una decina di copie, a partire da quelle del fiammingo Louis Finson che riprendono il soggetto Gregori con la croce e il teschio assenti nella Klain: «Chissà, magari Finson stesso si accaparrò il dipinto e lo replicò più volte in Francia del sud, dove il culto della Maddalena era diffusissimo». «La Klain è di Finson», ribatte Silvia Danesi Squarzina. Ma la Caravaggeide offre altre trame: «Sono ancora da ritrovare le quattro storie della Passione che Caravaggio dipinse a Messina», ricorda Papi. E di svolte improvvise, tanto per tacere sul mistero della Natività rubata a Palermo nel 1969, rischiano di essercene ancora: «Il ritratto di Fillide, la cortigiana modella di Caravaggio, più che distrutto a Berlino nel 1945, potrebbe essere nei caveau russi», sostiene Danesi Squarzina. E la dubbia Giuditta che taglia la testa di Oloferne, scoperta a Tolosa nel 2016, non è più vincolata dallo Stato francese. Restaurata ed esposta nell’atelier parigino del mercante Eric Turquin, aspetta di fare colpo sul mercato e di far riparlare di sé. Perché la vera maledizione di Caravaggio è questo suo essere sempre in bilico tra la realtà estrema dei suoi quadri e la strepitosa fiction che il tempo gli ha costruito su
(fonte: la Repubblica, 10 gennaio 2018).