"La Natività di Caravaggio è in Sicilia", di Roberta Scorranese

Dopo le puntuali ricostruzioni rese note dalla Commissione parlamentare antimafia sul furto della Natività di Palermo,  a cinquant'anni dal crimine commesso, inaspettatamente ora si fanno sentire versioni alternative (e qualche perplessità). Quella che segue si aggiunge, nell'ordine, a quanto dichiarato dai pentiti Franco Di Carlo (link) e Vincenzo Calcara (link), dall'architetto Ludovico Gippetto (link), e dal Presidente degli Amici dei Musei Siciliani Bernardo Tortorici e dall'investigatore Charles Hill (link). Parla ora il detective Arthur Brand. A ogni modo, dopo la relazione conclusiva della Commissione antimafia, il 18 giugno 2018 la Procura di Palermo ha riaperto un fascicolo sul caso, seppur contro ignoti, con l'indagine assegnata al procuratore aggiunto Marzia Sabella e al pm Roberto Tartaglia (link)



Ho ho bravi informatori sparsi in tutto il mondo. E quelli italiani mi dicono che la Natività di Caravaggio, sparita da Palermo nel 1969, si trova in Sicilia ed è perfettamente integra». Una cosa è certa: Arthur Brand ha davvero bravi informatori, cioè una rete internazionale di contatti che gli ha permesso di diventare uno dei detective dell’arte più noti e affidabili. Perciò le parole che l’investigatore olandese ha deciso di affidare a «la Lettura» a cinquant’anni dal furto più clamoroso della storia dell’arte del Novecento vanno lette attraverso una molteplicità di significati. 
Brand parla dai suoi uffici di Amsterdam, città dove vive e lavora. Ha appena concluso un ritrovamento al quale teneva molto, un mosaico di epoca bizantina che era stato trafugato da un luogo di culto di Cipro dopo l’invasione turca del 1974. «Un lavoro che mi ha impegnato per tre anni - racconta - e sa che cosa ho fatto nella maggior parte del tempo? Ho aspettato. Il mio lavoro non è per persone poco pazienti». Protagonista di numerosi ritrovamenti (dai cavalli di bronzo spariti dal palazzo della Cancelleria di Hitler durante la Seconda guerra mondiale a diverse tele di Salvador Dalí e di Tamara de Lempicka), Brand ha collaudato un metodo: lui interviene a freddo, cioè uno o due anni dopo la scomparsa di un’opera d’arte, «quando le indagini della polizia diventano, per forza di cose, più rarefatte, perché loro hanno altro a cui pensare », puntualizza.
Quindi il detective si cala in un sottobosco fatto di trafficanti, piccoli e grandi, di mercanti più o meno equivoci, di mediatori che poi si dissolvono. Fa domande, compone piste e semina le sue «esche». Quindi si siede e aspetta. «Prima o poi – dice – qualcuno si farà vivo. Perché ci sarà sempre un personaggio implicato nella vicenda che ha interesse affinché un’opera d’arte torni a casa. Faccio qualche esempio: potrebbe esserci un mercante concorrente al quale è stato “soffiato” un affare e chiede vendetta. Se invece dall’altra parte c’è un falsario noto nell’ambiente, si può usare il grimaldello della giustizia. Il gioco sta nell’avvicinare i rivali del ricercato e l’abilità di quelli come me risiede nell’individuare il prima possibile queste persone, diciamo, “interessate”». 
Però nel caso palermitano ogni dubbio è lecito: la scomparsa della Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi (la grande tela dipinta da Caravaggio per l’Oratorio di San Lorenzo nei primi del Seicento, durante il soggiorno siciliano – ma nel 1600 secondo recentissime acquisizioni, ndC400), avvenuta nell’ottobre del 1969, è una storia nera dalla struttura simile a un romanzo di Sciascia. Mezze verità, bugie, depistaggi, «soffiate»: le ombre si sono stratificate sulle ricerche e ormai si confondono con le dichiarazioni di almeno sei pentiti di mafia, sconfinando nella fiction. Tanto è vero che la vicenda ha ispirato romanzi e film: l’ultima opera cinematografica, dal titolo Una storia senza nome, è uscita nelle sale in autunno con la regia di Roberto Andò
Eppure Brand si dice convinto che un nome questa storia ce l’abbia. «Ho seguito gli aspetti più controversi della sparizione del Caravaggio – dice – e conosco le varie versioni: da quella che lo vorrebbe rosicato dai topi a quella, forse la più diffusa, che lo vuole fatto a pezzi da un mercante svizzero al quale era stato venduto dalla mafia e venduto così, a frammenti, a qualche mese dalla sparizione. Ma io ho parlato con alcune persone delle quali mi fido: mi hanno assicurato che il dipinto, del tutto integro, non ha mai lasciato la Sicilia». Per la verità questa è una versione fornita anche da un collaboratore di giustizia, Franco Di Carlo, il quale nell’estate scorsa sostenne di aver visto la Natività nel 1981 – anni dopo il furto – nella casa di un boss di Partanna Mondello, sobborgo di Palermo. 
Ma chi possiede adesso il Caravaggio? «La mia tesi, che poi è quella dei miei informatori italiani – sostiene il detective olandese –, è che la tela adesso non sia più in mano alla mafia. Apparterrebbe a una famiglia che teme di farsi avanti perché quella tela indubbiamente “scotta”. È una delle situazioni più frequenti in questi casi: inizialmente l’opera sparisce per mano della criminalità ma poi, dopo tanti anni, finisce nelle case di persone distanti da quei mondi, o almeno non implicate direttamente con la malavita. Qualche volta il proprietario ha acquistato il bene in perfetta buona fede. E sa che cosa accade spesso? Che decida di liberarsene per non avere problemi. È così che i Picasso e i Matisse finiscono bruciati, nello stupore di tutti». Brand dichiara che quest’anno, a coronamento di una carriera di successo, si trasferirà temporaneamente in Sicilia per cercare quello che è il Sacro Graal per chiunque faccia il suo lavoro. E, tramite «la Lettura», diffonde un appello: «Oggi l’interesse di tutti è che quel dipinto torni a casa. Per questo mi rivolgo a chi lo possiede in questo momento e lo invito a farsi avanti, anche contattando me, se preferisce, in modo che io poi possa fare da tramite con le forze dell’ordine e trovare soluzioni affinché gli innocenti non ci rimettano e non si sentano posti sotto accusa». 
Brand sottolinea più volte che le sue intenzioni non sono e non sono mai state quelle di sostituirsi ai Carabinieri, specie al Nucleo per la Tutela del Patrimonio culturale (che elogia con parole come «la migliore forza al mondo in questo settore»), bensì si propone come intermediario, come un «ponte» tra un eventuale proprietario del dipinto e la giustizia. 
Poi, a proposito di Graal, Brand rivela l’altro grande oggetto del desiderio di tutti quelli che fanno il suo lavoro, cioè il Cristo nella tempesta sul mare di Galilea, l’unico paesaggio marino dipinto da Rembrandt nel 1633 e rubato dall’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston nel 1990. Anche questo è un enigma che ha alimentato suggestioni cinematografiche, musicali e televisive. Il detective olandese ci lavora da tempo ed è giunto a una conclusione: «Sono convinto che si trovi nelle mani dell’Ira, l’Irish Republican Army. Eppure, il Caravaggio resta il principale obiettivo. In un paese come l’Italia la sparizione di un dipinto è una ferita che brucia anche in chi italiano non è».

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