"Caravaggio. La Natività di Palermo": la videoscheda del volume di Michele Cuppone



In questi giorni, dal 23 al 27 aprile, si svolge l'edizione web della manifestazione La Via dei Librai. Vi partecipa, per la sezione "Autori", Michele Cuppone, che presenta il volume Caravaggio. La Natività di Palermo. Nascita e scomparsa di un capolavoro, pubblicato da Campisano Editore.
La videoscheda del volume, corredata da una significativa selezione di immagini dell'impaginato, è ora disponibile online e se ne riporta di seguito una trascrizione:

Salve a tutti, mi presento: sono Michele Cuppone, ricercatore e studioso del celebre artista Michelangelo Merisi detto Caravaggio. Ho pubblicato da poco un libro, che ho il piacere di presentare qui agli amici de La Via dei Librai. Edito da Campisano, si intitola Caravaggio. La Natività di Palermo. Nascita e scomparsa di un capolavoro. Il volume, esce a cinquant’anni di distanza dal clamoroso furto della Natività di Caravaggio dall’oratorio di San Lorenzo a Palermo, in una notte piovosa dell’ottobre 1969. Mi sono occupato in diverse occasioni del tema, pubblicando di volta in volta alcune scoperte, ed ecco finalmente che è tutto raccolto ora in un solo testo. Ma, come vedremo, anche stavolta non mancano le novità. Le mie ricerche, partono dal campo storico-artistico, e difatti il volume è inserito in una collana di saggi di storia dell’arte. Tuttavia, uno spazio importante è dedicato alla storia del furto, un aspetto piuttosto intrigante e cui pure ho potuto dedicarmi, reperendo nuove informazioni. Ma scendiamo più nel dettaglio. Intanto, il dipinto. Una grande tela, al centro di un grande equivoco. Un biografo di Caravaggio, il pittore suo rivale Giovanni Baglione, ci racconta che l’artista, nei quattro anni di continui spostamenti dopo aver commesso un omicidio a Roma, passò da Palermo. Dove, in effetti, si trovava la Natività, fino al 1969. È così che, successivamente, altri scrittori devono aver dedotto che il quadro era stato dipinto nel capoluogo siciliano, nel 1609. Ma a ben vedere, il racconto di Giovanni Baglione è parziale, e non è neppure una testimonianza diretta: egli in realtà, del soggiorno siciliano di Caravaggio, che ebbe luogo essenzialmente a Siracusa e a Messina, non sa nulla, non conosce nemmeno un’opera dipinta qui. Ecco, così, che Baglione deve aver menzionato simbolicamente la sola Palermo, per indicare più genericamente la Sicilia.  Perché è importante dire questo? Perché la Natività, possiamo affermare oggi, e il libro approfondisce tutto ciò, non è un dipinto siciliano del 1609, come abbiamo sempre pensato. Era stata realizzata alcuni anni prima, a Roma, nell’anno 1600. Quando Caravaggio stava lavorando alla celebre cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, quindi nel momento di svolta della sua carriera. Dunque un capolavoro romano, e ce lo dimostrano molti elementi. A partire dall’analisi stilistica e quella iconografica: il quadro presenta colori, motivi e addirittura modelli che ritroviamo nei capolavori romani del Merisi. I dipinti siciliani di Caravaggio, hanno tutt’altre caratteristiche: per una metà sono costituiti da un grande spazio vuoto che sovrasta i personaggi. Una prova della ‘nuova’ datazione della Natività, viene anche dai risultati delle vecchie radiografie eseguite sul dipinto: se ne ricava che la tela impiegata aveva le stesse caratteristiche di quelle utilizzate da Caravaggio a Roma, ben diverse dalle tele siciliane.  Uno spazio, nel volume, è dedicato anche a una certa ‘fortuna’ che il quadro conobbe, prima della sparizione. Da sempre uno dei meno visti di Caravaggio, fu conosciuto sempre più grazie alla fotografia, e a una grande mostra che lo vide esposto, a Milano nel 1951 (andò pure al Louvre, nel 1965). Compare anche in rari filmati degli anni ’50 e ’60, uno dei quali trasmesso dalla Rai due mesi prima del furto. Tanto che, si pensò addirittura a una responsabilità della tv: avrebbe fatto conoscere ai ladri il capolavoro mal custodito. E poi, il tema delle copie antiche. Se ne conoscono due. Una è a Catania, a Castello Ursino. L’altra, nota solo attraverso una foto in bianco e nero, risulta dispersa. L’ultima parte del volume è naturalmente incentrata sul furto, avvenuto una notte di metà ottobre del 1969, tema su cui c’è ancora da dire. La prima cosa che ho voluto fare, e credo fosse necessario, è stato sgomberare il campo dalle tante, troppe leggende. È stato detto veramente di tutto, dalla tela esposta nei vertici di Cosa nostra, oppure mangiata dai topi in una porcilaia, o ancora incendiata poco dopo il furto, perché danneggiata dai ladri inesperti. Oggi, possiamo ricostruire alcune vicende rimaste sempre oscure, e questo principalmente grazie alle indagini svolte nel 2017 dalla Commissione parlamentare antimafia In sintesi, il quadro fu rubato da una banda di giovani ladri, che non ne avevano colto il valore reale. Ciò che, invece, comprende il boss Gaetano Badalamenti, apprendendo la notizia dai quotidiani. Riesce così, tramite i suoi collaboratori, a impossessarsi della preziosa refurtiva, e a rivenderla poi a un trafficante svizzero. Il quadro partì alla volta del Canton Ticino, ed è lì che si concentrano ora le indagini in corso. Il libro, arricchisce questa ricostruzione di particolari inediti. Inclusi nomi e dettagli secretati negli atti ufficiali, che ho potuto desumere talvolta incrociando i dati. Infine, rendo noti i contenuti di una lettera riservata del 1974, da me reperita, che fa riferimento a una richiesta di riscatto. Una vera e propria chicca, sono le trascrizioni degli articoli dai quotidiani dell’epoca. Dove non mancano le firme prestigiose: fra tutte, Leonardo Sciascia. Come in una macchina del tempo, si possono seguire le cronache quasi in presa diretta. Sorprenderà comunque vedere il poco risalto che veniva concesso alla notizia, cui evidentemente non si riconosceva una grande importanza: oggi, ricordiamo, quello della Natività è considerato invece uno dei dieci furti d’arte più importanti a livello mondiale, secondo l’FBI. A ogni modo, dalla lettura degli articoli si evincono particolari poco noti ai più, probabilmente a volte anche ingigantiti (come gli oltre cento interrogati in pochi giorni), ma che di certo risultano piuttosto interessanti. Per concludere, alcune considerazioni sul prodotto editoriale in sé. Il libro, si presenta in un comodo formato compatto, con una significativa selezione di belle immagini, a colori e in bianco e nero, funzionali rispetto alla narrazione.  Pur venendo personalmente dal mondo della ricerca, ho voluto adottare un linguaggio divulgativo e senza inutili tecnicismi, fatto per avvicinare chiunque anche ai contenuti più specialistici, accanto a quelli narrativi e di mera cronaca. Il libro è denso di sottotemi e informazioni che, considerato l’argomento, non dovrebbero faticare a stimolare l’interesse del lettore e, possibilmente, ad appassionarlo. Mi piace pensare di esserci riuscito, ma questo potrete giudicarlo meglio voi lettori.


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Lezione di Claudio Strinati su Caravaggio, giovedì 30 aprile per "#maestri"

La lezione sarà trasmessa giovedì 30 aprile alle 15:20 su Rai 3

All’inizio fu il Maestro Manzi a portare la scuola nelle case degli italiani. Oggi, nell’età più tecnologica della storia, Rai Cultura segue quei passi con una nuova offerta didattica: “#maestri”, in onda da lunedì 27 aprile, ogni giorno alle 15.20 su Rai3. Il programma è firmato da Rai Cultura e realizzato in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, e rientra nell’offerta didattica #lascuolanonsiferma.
Arte, scienza, letteratura, ma anche informatica, cucina e musica. Accademici e grandi divulgatori portano la scuola a casa con brevi lezioni di quindici minuti rivolte a tutti gli studenti: 43 puntate, 86 lezioni rivolte a tutti gli studenti degli istituti superiori, con più di venti maestri d’eccellenza. Un “mosaico didattico” senza precedenti, ordinato da Edoardo Camurri che presenta e introduce i protagonisti della cultura, gli accademici di tutte le discipline, i grandi divulgatori scientifici. Tra i nomi, Alessandro Barbero, Eva Cantarella, Marta Cartabia, Sabino Cassese, Andrea Giardina, Vittorio Lubicz, Alberto Melloni, Maria Grazia Messina, Marco Mezzalama, Massimo Montanari, Piergiorgio Odifreddi, Telmo Pievani, Nicola Piovani, Chiara Saraceno, Liliana Segre, Luca Serianni, Beppe Severgnini, Claudio Strinati, Gianni Toniolo, Mario Tozzi, Alessandro Zuccari.
La prima settimana di “#maestri” si apre, lunedì 27 aprile con Alessandro Barbero che riflette sulla lezione delle due guerre mondiali, mentre Vittorio Lubicz propone un viaggio nel tempo della fisica. Martedì 28 si parla di Big data con Marco Mezzalama e di Impressionismo con Maria Grazia Messina, mercoledì 29 Telmo Pievani parla del concetto di “imperfezione” e Luca Serianni ripercorre la storia della nostra lingua. Giovedì 30 aprile, infine, protagonisti Giorgio Odifreddi con la matematica degli antichi Greci e Claudio Strinati con una lezione su Caravaggio (fonte: Ufficio Stampa Rai).
Strinati racconta un pittore dall’arte grandissima e dal destino tragico: Michelangelo Merisi, il Caravaggio. Una storia che, dalla Lombardia, porta a Roma e a tanti capolavori. Primo tra tutti, La vocazione di Matteo, dove Caravaggio “inventa” la luce, che cammina nella direzione del dito del Salvatore verso Matteo. È come se avesse inventato il cinema, perché la luce è solo un artificio creato dall’autore e non luce naturale (fonte: Artemagazine).

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La copia di Paolo Geraci della "Natività" di Caravaggio: il video didattico



Il Museo Civico "Castello Ursino" partecipa alla manifestazione #plateaComune attraverso la pubblicazione di alcuni video didattici, relativi al proprio patrimonio museale. 
Nel primo focus realizzato, si presentava il Cristo alla colonna di autore ignoto.
Oggi Michele Cuppone torna a parlare di un'altra copia di un Caravaggio perduto, la Natività di Paolo Geraci, che nel 1627-1628 copiò appunto il dipinto palermitano di Michelangelo Merisi (rubato nel 1969).
Di seguito una trascrizione del contributo nella sua versione integrale (6'03''):
Nelle collezioni del Castello Ursino di Catania, vi è un quadro che ha una storia particolare: è l’unica copia superstite, di un Caravaggio rubato nel ’69 a Palermo. Parliamo della copia della Natività del sommo artista lombardo, realizzata da un pittore poco noto, Paolo Geraci.
Prima, però, due parole sul dipinto originale.
Si era sempre pensato che Michelangelo Merisi detto Caravaggio, lo avesse realizzato durante il suo soggiorno in Sicilia, nel 1609. In realtà, recenti scoperte, hanno dimostrato come l’artista l’avesse eseguito diversi anni prima, a Roma, nell’anno 1600. La tela, fu poi spedita alla volta di Palermo: era destinata all’oratorio di San Lorenzo, sede di una confraternita chiamata “compagnia di San Francesco”
Abbiamo appena nominato san Lorenzo, san Francesco… sarebbero i due santi che compaiono nel quadro, noto infatti anche come Natività con i santi Lorenzo e Francesco.
Sappiamo da un documento, che qualche anno più tardi, nel novembre del 1627, al pittore palermitano Paolo Geraci, noto per lo più come copista, e della cui attività in realtà si conosce molto poco, furono chiesti due quadri.
La richiesta, venne da Orazio Giancardo, un personaggio che rivestiva un ruolo di una certa importanza nell’amministrazione del Viceregno. Per il costo di 30 onze, Giancardo chiede a Geraci due copie: una, dell’Andata al Calvario di Raffaello, e l’altra, appunto, della Natività. Orazio Giancardo, chiede che questi quadri vengano realizzati «simili» agli originali. Entrambi, verranno consegnati l’anno successivo, nel giugno 1628.
Ora, la copia del quadro di Raffaello, il cui originale oggi si trova al Prado, non è stata mai rintracciata. Qualcosa di simile sarebbe potuto accadere anche per la copia del Caravaggio, la cui scoperta è relativamente recente. Vediamone in sintesi la vicenda.
Nel XIX secolo, la tela di Geraci si trovava ancora a Palermo, ed era di proprietà del catanese Giovanni Battista Finocchiaro, Presidente della Suprema Corte di Giustizia in quella città. Nel 1826, secondo le volontà testamentarie di Finocchiaro, la sua raccolta di dipinti veniva donata al Comune di Catania, sua città natale. E questo, veniva a costituire il primo grande nucleo collezionistico delle raccolte comunali, da cui avrà poi origine il Museo Civico di Castello Ursino.
Dopo vari movimenti, nel 1954, il quadro di Geraci venne concesso in prestito alla Prefettura di Catania. Ma di questo passaggio, si era persa memoria: nemmeno un verbale di consegna, risultava redatto. Soltanto trent’anni dopo, nel 1984, il quadro fu riconosciuto, come copia di un originale perduto del Merisi: era ancora nell’ufficio del prefetto, alle spalle della sua scrivania. Ma ci vollero poi diversi anni ancora, prima che l’opera venisse restituita a Castello Ursino, dove ancora oggi si può ammirare.
Della Natività di Caravaggio, c’è da dire, esisteva un tempo anche un’altra copia, nota purtroppo solo attraverso una fotografia in bianco e nero: essa, come l’originale, è andata dispersa. È comunque interessante mettere a confronto le due uniche copie del dipinto di Palermo. Certamente, quella oggi a Catania è di migliore qualità, e rispetta più fedelmente l’originale: è un riproduzione in scala 1:1.
La copia di Geraci, proprio perché si attiene alle misure del dipinto di Caravaggio – di cui restano pochi scatti a colori, rappresenta una testimonianza estremamente importante. Tanto da aiutare a decifrare meglio alcuni particolari che, nell’originale, non erano così leggibili. Oppure, erano stati danneggiati nel tempo. La tela di Castello Ursino, anch’essa non in ottime condizioni fino a poco tempo fa, è stata restaurata di recente.
Per concludere: cosa rappresenta il quadro? Appunto la Nascita del Bambino, che giace a terra, con la Madonna dal volto dolce e spossata dal parto, san Giuseppe di spalle che offre allo spettatore la sua nuca ingrigita, un angelo con il cartiglio, con su scritto «Gloria in Eccelsis Deo». Delle bestie sullo sfondo a sinistra, vediamo principalmente il bue. Accanto a lui, san Lorenzo, che riconosciamo in particolare dalla ricca veste gialla, e dalla graticola, strumento su cui fu  martirizzato e su cui qui si appoggia. Dall’altro lato, con un cappello e il bastone, un pastore. E, a fianco, un personaggio sulla cui identità ancora ci si interroga. Dovrebbe essere san Francesco, perché appunto nell’oratorio di San Lorenzo dove si trovava il Caravaggio, si riuniva la compagnia di San Francesco. Ma presenta alcune incongruenze, rispetto alle raffigurazioni del santo di Assisi che faceva Caravaggio. In questo, vediamo una calvizie, i capelli sono neri anziché castani, sono assenti le stimmate, il saio non presenta strappi né toppe, vi è un mantello… tutto questo, ha fatto pensare che il personaggio, che resta più di tutti sullo sfondo, possa essere un altro pastore. Per cui, il tema, diverrebbe un’Adorazione dei pastori con san Lorenzo.
Tuttavia, il mistero più grande che interessa la Natività di Caravaggio, è relativo alla sua sparizione, avvenuta in una notte di ottobre del 1969. Ma questa è un’altra storia…
E, mentre si continua a cercarla, non ci resta che ammirarne la copia fedele a Castello Ursino. Ringraziando per questo quel Paolo Geraci che, altrimenti, difficilmente avremmo incontrato

#plateaComune, a cura dell'Assessorato alla Cultura del Comune di Catania, è uno spazio aperto per non spegnere i riflettori sulla bellezza, sull’arte, sulla cultura, sulle molteplici espressioni del genio e della creatività della quale Catania è ricchissima.

L'autore
Michele Cuppone è ricercatore e studioso di Caravaggio. Ha pubblicato i suoi studi storico-artistici in sedi scientifiche e divulgative. Ha prestato consulenza in progetti editoriali ed espositivi. In televisione ha partecipato al documentario La Rome claire obscure du Caravage/Im helldunkel-Rom von Caravaggio prodotto da Arte ed è stato ospite di approfondimenti tematici su Rai 2 e Tv2000. È infine curatore di Caravaggio400.org. Per l’editore Campisano, è appena uscito il suo volume Caravaggio. La Natività di Palermo. Nascita e scomparsa di un capolavoro.

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"Caravaggio. La Natività di Palermo: nascita e scomparsa di un capolavoro", articolo su "Giorni di Storia"



Un «importante studio», secondo l’illustre professor Richard E. Spear uscito a cinquant’anni di distanza dal clamoroso furto della Natività di Caravaggio da un oratorio di Palermo, in una notte piovosa dell’ottobre 1969. L’autore del volume Caravaggio. La Natività di Palermo. Nascita e scomparsa di un capolavoro (Campisano Editore) Michele Cuppone, ricercatore e studioso del grande pittore lombardo, da anni approfondisce l’argomento, di cui ha ricostruito di volta in volta più tasselli, pubblicando in sedi scientifiche e non. Grazie al lavoro svolto parallelamente anche da altri specialisti, oggi sappiamo molto di più del dipinto scomparso. E tutti questi approfondimenti finalmente trovano ora una trattazione organica nel volume, edito da Campisano, in una veste divulgativa e corredata da una significativa selezione di immagini. Ma non mancano le novità.
Sul fronte storico-artistico, l’autore chiarisce meglio la genesi della Natività, attraverso l’esame stilistico, i confronti iconografici, le scoperte d’archivio, la riconsiderazione di alcune fonti trascurate, fino al riesame dei referti tecnici sulla tela, eseguiti nel 1951 in occasione di una grande mostra. Il quadro, possiamo dire in definitiva, fu eseguito non in Sicilia nel 1609, come si credeva perché così raccontavano certi biografi, ma a Roma, nel 1600, e da qui spedito a Palermo. Sappiamo addirittura dove esso fu realizzato: all’interno di Palazzo Madama, attuale sede del Senato della Repubblica, dove Caravaggio viveva a quel tempo. La scoperta dell’esatta datazione è un aspetto rilevante, anche perché pone la tela accanto alle più celebri storie di san Matteo della cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, e dunque nel punto di svolta della carriera di Michelangelo Merisi. La Natività, corrispondente dunque al quadro «cum figuris» menzionato in un enigmatico documento romano del 5 aprile 1600, sarebbe addirittura la prima pala d’altare eseguita dall’artista. Si possono comunque chiarire anche alcuni quesiti legati alla sua iconografia, che ha spesso stimolato una discussione intorno all’identità di alcuni personaggi. Infine, si può ripercorre una certa ‘fortuna’ che, fino all’ottobre del 1969, il quadro ebbe, dalle copie ai rari documentari d’epoca: mentre, curiosamente, le stesse copie sono scomparse definitivamente o comunque per molti secoli, si attribuì la responsabilità del furto a un filmato andato in onda in tv due mesi prima di esso.
Un capitolo a parte riguarda proprio la storia della sparizione. In cui, anzitutto, Cuppone sgombera il campo dalle tante leggende messe in circolazione da collaboratori di giustizia e giornalisti: si è detto di tutto, dalla tela utilizzata come stendardo nei summit di Cosa nostra, o mangiata da topi e maiali in una stalla, o ancora distrutta nel terremoto dell’Irpinia. Segue quindi la ricostruzione degli eventi come risulta dalle fonti più attendibili e verificate: tra tutte, i risultati della specifica inchiesta pubblicata nel 2018 dalla Commissione parlamentare antimafia, che ha individuato in un trafficante svizzero, scomparso da anni, l’acquirente della Natività, attraverso la mediazione del boss Gaetano Badalamenti. Ma l’autore si spinge a offrire nomi e dettagli inediti finora secretati negli atti ufficiali, tra cui i riferimenti, in una lettera del 1974 preclusa alla consultazione in archivio, a una richiesta di riscatto da parte di ignoti ricettatori. Chiude il volume una nutrita rassegna di articoli, dalla stampa nazionale e locale e a firma anche di autori prestigiosi tra cui Leonardo Sciascia: l’operazione di trascrizione dai giornali, mai fatta sinora, consente di rivivere in diretta le cronache del tempo.

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#iorestoacasa, la Cultura non si ferma: Caravaggio a Napoli sul canale YouTube MiBACT



Sul canale YouTube del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo è disponibile il video “Caravaggio” del Museo e Real Bosco di Capodimonte https://youtu.be/HY9rvClxJxY che racconta e approfondisce il soggiorno napoletano del pittore lombardo e l’eredità lasciata nella città partenopea. Il filmato, con didascalie in lingua inglese, è uno dei tanti contributi che, dall’inizio dell’emergenza coronavirus, musei, parchi archeologici e istituti autonomi statali hanno e continuano a fornire al pubblico a casa per non interrompere il contatto con il loro patrimonio culturale nazionale. 
A Napoli Caravaggio arrivò in fuga da Roma, dove era stato coinvolto nell’omicidio di Ranuccio Tomassoni, e visse nella meravigliosa capitale del meridione per complessivi 18 mesi tra il 1606 e il 1610. Il legame di Caravaggio con il territorio ebbe un grande influsso sulla Scuola napoletana e la nascita del naturalismo partenopeo. Sia gli artisti giovani, come Battistello Caracciolo, che quelli già attivi a Napoli, come Fabrizio Santafede, non poterono restare immuni dal realismo caravaggesco. Il soggiorno napoletano procurò a Michelangelo Merisi una grande fama internazionale. 
Il racconto e le immagini del filmato si soffermano in particolare su i tre capolavori realizzati da Caravaggio a Napoli: le Sette Opere di Misericordia, un olio su tela di grandi dimensioni, in cui l’artista rivoluziona l’iconografia classica e rappresenta i protagonisti come persone comuni. Le Sette opere di Misericordia si possono ammirare ancora oggi presso il complesso Pio Monte della Misericordia; La Flagellazione di Cristo è un altro olio su tela di grandi dimensioni, commissionato in origine per la chiesa di San Domenico Maggiore e oggi custodito nel museo di Capodimonte. L’opera è concentrata sulla figura del Cristo e i suoi aguzzini che emergono da un’ombra densa e scura; Il Martirio di Sant’Orsola, invece fu eseguito per il banchiere genovese Marcantonio Doria, anche in questo caso Caravaggio stravolge completamente l’iconografia classica. In quest’opera la drammaticità della scena è accentuata dall’uso degli scuri. Sono tutte splendide opere, due delle quali si trovano nel cuore del centro storico di Napoli, che aspettano solo di essere riviste appena l’emergenza sarà terminata. 
Con questa iniziativa il Mibact, attraverso un impegno corale di tutti i propri istituti, mostra così non solo ciò che è abitualmente accessibile al pubblico, ma anche il dietro le quinte dei beni culturali con le numerose professionalità che si occupano di conservazione, didattica, tutela, valorizzazione. Attraverso il sito e i propri profili social facebook, instagram e twitter il Ministero rilancia le numerose iniziative digitali in atto. 
Sulla pagina La cultura non si ferma del sito https://www.beniculturali.it/laculturanonsiferma, in continuo aggiornamento, sono inoltre già presenti diversi contributi dei luoghi della cultura statali.

Roma, 20 aprile 2020
Ufficio Stampa Mibact ​

Il "Cristo alla colonna" di Castello Ursino, copia di un Caravaggio perduto: il video didattico



Il Museo Civico "Castello Ursino" partecipa alla manifestazione #plateaComune attraverso la pubblicazione di alcuni video didattici, relativi al proprio patrimonio museale. Nel primo focus realizzato, Michele Cuppone parla del Cristo alla colonna, copia di un Caravaggio perduto.
Di seguito una trascrizione del contributo:
Il dipinto rappresenta Cristo che, legato alla colonna, viene flagellato da due manigoldi. Non vediamo i volti di questi ultimi, l’uno posto di spalle mentre l’altro è in penombra. È una scelta, da parte dell’artista, che sembra accentuare il carattere occulto del male. Tutto ciò, nel formato verticale della tela, dona anche maggiore risalto alla figura del Cristo sofferente.
Il quadro costituisce un’importante testimonianza iconografica se, a quanto pare, è una copia di un Caravaggio perduto. Non l’unica. Una seconda, si trova a Macerata. Di una terza versione ancora, è ignota l’ubicazione attuale: si trovava un tempo in collezione Camuccini a Cantalupo in Sabina. C’è da dire che, per qualcuno, proprio questa terza versione sarebbe il dipinto originale caravaggesco.
Ricordiamo che Michelangelo Merisi, adottando soluzioni compositive simili, aveva dipinto in altre occasioni un Cristo alla colonna, o comunque, aveva rappresentato un altro momento della Passione, quello dell’Incoronazione di spine. Vediamo così che, le pose del Cristo o dei suoi aguzzini del quadro di Catania, ricorrono nella Flagellazione di Capodimonte, e in quella di Rouen. E ancora, nell’Incoronazione di spine di Vienna, e in quella di Vicenza.
Risulta difficile pure stabilire in quale momento Caravaggio abbia dipinto il prototipo della copia di Castello Ursino: se quando si trovava ancora a Roma, o nel periodo immediatamente successivo, a Napoli, dopo aver abbandonato la capitale per aver commesso un omicidio.
Ma chi è l’autore del quadro di Catania? È difficile stabilirlo, e sono state fatte alcune ipotesi a riguardo. Si pensò anzitutto a Giovanni Battista Caracciolo, detto Battistello, un seguace napoletano del Merisi. Oppure a qualcuno della cerchia di Carlo Saraceni, pittore veneto operante a Roma, cui è stata riconosciuta una certa vicinanza alla pittura caravaggesca. Un’altra ipotesi ancora suggerisce, per l’ignoto autore del Cristo alla colonna di Castello Ursino, il nome di Mario Minniti. È a lui che lo vediamo assegnato, nell’allestimento della Pinacoteca del museo catanese. Minniti, originario di Siracusa, aveva conosciuto Caravaggio a Roma, nella bottega in cui avrebbero collaborato agli esordi dei loro anni romani. Si ritroveranno poi nella città natale di Minniti, dove questi era ritornato, una volta lasciata Roma; e dove Caravaggio si troverà a passare durante il suo soggiorno siciliano.
Va segnalata infine, nelle collezioni di Castello Ursino, la presenza dell’unica copia superstite della Natività di Palermo, ma dipinta a Roma, di Caravaggio, rubata nel 1969. Cosicché, il museo vanterebbe una sorta di primato. Quello cioè di custodire, nella Pinacoteca, due copie da due Caravaggio dispersi.
Chiudiamo con una suggestione. Caravaggio, si sa, aveva un temperamento rissoso, e fra i vari episodi di violenza di cui fu protagonista, si ricorda l’aggressione a piazza Navona al notaio Mariano Pasqualoni, per motivi di gelosia di una donna. E bene, proprio nei beni della famiglia Pasqualoni è attestata la presenza, a Roma nel 1652,  di un «Cristo flagellato alla colonna». Poteva forse quest’ultimo essere il prototipo caravaggesco, qualunque o ovunque esso sia, di cui una copia è ancora oggi conservata a Catania?
Una cosa è certa: gli studi caravaggeschi sono una materia viva, e per ogni questione che sembra chiarirsi, un’altra ancora se ne apre. Proprio come ci dimostra, appunto, il “Minniti” di Castello Ursino
#plateaComune, a cura dell'Assessorato alla Cultura del Comune di Catania, è uno spazio aperto per non spegnere i riflettori sulla bellezza, sull’arte, sulla cultura, sulle molteplici espressioni del genio e della creatività della quale Catania è ricchissima.

L'autore
Michele Cuppone è ricercatore e studioso di Caravaggio. Ha pubblicato i suoi studi storico-artistici in sedi scientifiche e divulgative. Ha prestato consulenza in progetti editoriali ed espositivi. In televisione ha partecipato al documentario La Rome claire obscure du Caravage/Im helldunkel-Rom von Caravaggio prodotto da Arte ed è stato ospite di approfondimenti tematici su Rai 2 e Tv2000. È infine curatore di Caravaggio400.org. Per l’editore Campisano, è appena uscito il suo volume Caravaggio. La Natività di Palermo. Nascita e scomparsa di un capolavoro.

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"Il Caravaggio rubato e la modella romana", di Fabio Isman su Il Messaggero


Fu dipinta nella Capitale la "Natività" trafugata dalla mafia a Palermo nel 1969: lo dimostra uno studio di Michele Cuppone. La donna del quadro è la stessa di altri capolavori. E spunta il contratto originale di commissione, datato 5 aprile 1600


LA STORIA
Michelangelo Merisi non avrebbe mai messo piede a Palermo: fuggitivo da Malta, si ferma a Siracusa e a Messina, e vi lascia almeno tre capolavori; dopo il 10 giugno 1609, se ne va direttamente a Napoli, dove, il 7 novembre, si sa che è stato aggredito e sfregiato, all’uscita da un’osteria. Ma nel capoluogo siciliano c’era la sua Natività con i santi Lorenzo e Francesco, sottratta dall’omonimo oratorio a ottobre 1969 ad opera della mafia, come si è sempre detto. Un capolavoro, e il quadro più ricercato al mondo. Il quale però, è stato eseguito, si scopre, nel 1600 a Roma: quando Caravaggio stava terminando i due San Matteo di San Luigi dei Francesi. Esisterebbero assai più che semplici indizi: anzi, perfino il contratto originale di commissione.

L'INDAGINE
Questi, essenzialmente, i contenuti di una ricerca che ha compiuto Michele Cuppone, un giovane studioso già impegnato sul medesimo artista, in un libro (Caravaggio. La Natività di Palermo, Campisano, 112 pag., 30 euro) che dell’opera indaga la realizzazione, ma anche la fama, il furto, alcune curiosità. Che sia del 1600, deriva dal contratto, a lungo misterioso; dalla tela, che è «romana» per le qualità, e diversa dalle altre opere siciliane: i quadri dell’isola sono realizzati su supporti più piccoli cuciti tra loro (al contrario di quelli di Roma), e questo è su una tela unica; lo stesso stile è assai più di allora, che di 10 anni dopo; perfino la modella per la Madonna nel capolavoro di Palermo appare la medesima della Giuditta nella Decapitazione di Oloferne (Palazzo Barberini, Roma), e forse anche della Santa Caterina di Madrid, e di Marta e Maddalena di Detroit: tutte creazioni degli ultimi anni del Cinquecento.
Quando la Natività era già stata rubata da due anni, si è scoperto un misterioso contratto di Caravaggio. Datato 5 aprile 1600, e stipulato nella casa del mercante Alessandro Albani: con una caparra di 60 scudi, doveva realizzare per un altro mercante, Fabio Nuti, un dipinto «con delle figure», la cui altezza è esattamente quella di Palermo, e la larghezza si discosta di pochi centimetri. A novembre, Caravaggio è pagato. E a Palazzo Madama, dove il cardinal del Monte viveva e il pittore aveva lo studio, ritira il quadro proprio Albani. Del quale, come di Nuti, sono stati scoperti i rapporti con Palermo. Non solo; ma dal 28 luglio al 9 agosto 1600, nell’oratorio palermitano si compiono dei lavori sulla cornice dell’altar maggiore. E del dipinto di cui al contratto, nessun’altra traccia, se non queste, è mai stata ritrovata. Un saio francescano con due ali, che, proprio in quegli anni, Orazio Gentileschi aveva prestato al Merisi, compaiono, guarda caso, in questa Natività.

LE REPLICHE
Poco dopo che era giunta a Palermo, nel 1627, al siciliano Paolo Geraci se ne ordina una copia: ritrovata a Catania, di recente, nell’ufficio del prefetto; oggi, è a Castel Ursino. Relativamente poche sono le repliche del dipinto palermitano. Una, l’aveva Luigi Federzoni, celebre gerarca fascista, ed è sparita durante la guerra; forse, dalla sua casa a via Ferdinando di Savoia («requisita», come scrive Cuppone, «e passata a Palmiro Togliatti»). Nella famiglia Federzoni, la si riteneva di Bernardo Cavallino. E poi, dell’originale si racconta anche come è stato salvato dalla guerra, e le due volte in cui è stato esposto, lasciando la sua città.

IL GIALLO
E veniamo al furto, descritto nei minimi particolari. Un mistero ancora irrisolto: tra i maggiori “gialli” dell’arte che, in modo diverso tra loro, hanno raccontato anche i più importanti mafiosi pentiti. Si fa giustizia di molte false piste ed ipotesi azzardate: che Giovanni Brusca tentasse di permutarlo con lo Stato in cambio di carcerazioni più morbide; che il critico Maurizio Marini abbia visto l’opera in Sicilia, dopo il furto; che la Natività fosse finita in una porcilaia: lo dicono notizie di terza mano (o bocca), e riferite da un capomafia, allora, però, di appena 13 anni; che la tela venisse esposta come trofeo nei “summit” della “onorata società”, ma questo l’hanno smentito i mafiosi stessi; che Totò Riina lo usasse come uno scendiletto.

LA DATA
Intanto, il furto è forse avvenuto il 15 ottobre 1969: due giorni prima di quanto si dica. Tela portata via da sette ladri, probabilmente inconsapevoli. Avvolta in un tappeto che era nell’Oratorio. Quando i giornali la valutano un miliardo di lire (cifra, peraltro, ben inferiore al reale), attira l’attenzione del “boss” Gaetano Badalamenti. C’è chi racconta come gli sia arrivata, a Cinisi. Ci sono anche le telefonate con un prete, per ottenerne un riscatto. E, alla fine, la consegna, chissà per quanti milioni di franchi svizzeri nel 1970, a un mercante di Lugano, ormai morto. Smembrare la Natività, per poterla smerciare, era solo un’ipotesi. Il furto è ormai prescritto. E chissà che fine ha fatto la tela, come scriveva Roberto Longhi, dal «bambino miserando, abbandonato a terra come un guscio di tellina buttata».



La Pinacoteca di Brera in “Haltadefinizione”: online la "Cena in Emmaus" di Caravaggio

Sul sito internet della Pinacoteca si potrà accedere a una sezione speciale dedicata alla visione “ravvicinata” dei grandi capolavori del museo milanese: con ingrandimenti fino a 40 volte tanto, si possono ammirare particolari nascosti, invisibili dalla distanza che si mantiene nei musei


Il Bacio di Haeyz così non l’avete mai visto. Sembra quasi di poter passare la mano tra le pieghe dell’abito. O di intrufolarsi tra la folla dello Sposalizio della Vergine di Raffaello o di toccare l’uovo al centro della cupola della pala Montefeltro di Piero della Francesca. Con le sale del museo ancora chiuse per l’emergenza sanitaria legata al coronavirus, la Pinacoteca di Brera ha messo a disposizione di tutti le immagini in altissima definizione delle opere più importanti della collezione del museo: un progetto realizzato da Haltadefinizione, specializzata in foto d’arte ad altissima risoluzione. Meglio che a occhio nudo.

“In questo momento in cui nessuno può godere del capolavoro di Raffaello di persona, renderlo accessibile in alta risoluzione, permettere a tutti di esplorarlo, è una espressione perfetta del potere dell’arte e dei valori della Pinacoteca” dice James Bradburne, direttore della Pinacoteca di Brera e della biblioteca Braidense. Sul sito internet della Pinacoteca si potrà infatti accedere a una sezione speciale dedicata alla visione “ravvicinata” dei grandi capolavori del museo milanese: un modo per visitare il museo senza uscire di casa, ma anche un prezioso strumento per le attività di didattica a distanza delle scuole. E l’esperienza è veramente sorprendente: sembra di entrare nel quadro, a una distanza impensabile dal vivo, per osservare ogni dettaglio, ogni pennellata. E scoprire particolari nascosti alla vista, come le tracce del disegno sottostante.

“Le immagini in altissima definizione – sottolinea Luca Ponzio, fondatore di Haltadefinizione – sono una straordinaria occasione per favorire l’approccio digitale e immersivo alle collezioni museali. L’esplorazione dell’immagine di un’opera d’arte in rete, in tempo reale e con possibilità di ingrandimento fino a 40x, apre a nuove stimolanti opportunità creative sia per la valorizzazione sia per la conservazione e lo studio” (fonte: il Fatto Quotidiano).

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