"Caravaggio, la Storia dell’Arte e la notte in cui tutte le vacche sono nere", di Luca Bortolotti

Come in uno sfrenato festino in onore di Dioniso l’ubriacatura caravaggesca sembra destinata a non avere fine. Essa presenta, ormai, connotati di passione collettiva che siamo soliti associare ad altri e (si presume) meno nobili ambiti dell’attività umana e che, per estensione e profondità, si direbbero non avere veri precedenti nel campo delle arti figurative. 
Al confronto con l’amore e le attenzioni che oggi investono Caravaggio retrocedono quasi a fenomeni di nicchia quelli, pur planetari, che riguardano Leonardo e Vermeer, Van Gogh o gli impressionisti, per tacere di quelli che nei secoli hanno coinvolto, ma entro confini più strettamente elitari, Michelangelo e Raffaello, oppure, ancor più selettivamente, i “primitivi” o Pontormo, Canaletto o Francesco Guardi
Il fenomeno è noto e negli ultimi anni è stato ampiamente rilevato dagli storici dell’arte, ma soprattutto è stato ben compreso ed estensivamente sfruttato in ciascuno degli aspetti che, a vari livelli, ruotano intorno al mondo dell’arte: mostre e divulgazione culturale, media e social, fino alla pubblicità e alla produzione di gadgets. Decisamente oggi Caravaggio è pop. Di più: è pop senza aver perduto (almeno sin qui) nulla della sua aura presso la comunità scientifica, rappresentando un caso raro di non conflittualità tra cultura “bassa” e cultura “alta”, di convivenza pacifica fra i due livelli.
Si direbbe, in effetti, che il “pubblico dell’arte” – entità astratta, sempre più estesa, ma sempre meno provvista di un identikit minimamente omogeneo – nutra una curiosità insaziabile per qualsivoglia aspetto della vita e dell’opera di questo sommo artista, reclamando di continuo nuovi fatti, ipotesi, supposizioni e ovviamente dipinti, che vadano a implementare senza sosta il nostro già eccezionalmente cospicuo data-base dedicato a Caravaggio: un dossier che coinvolge anche gli aspetti più indiretti, nutrendosi delle triangolazioni più impalpabili come delle più spericolate connessioni di fatti e di significati, ma del quale, nondimeno, gli specialisti non mancano di rilevare con vivo rammarico, quando non proprio con sgomento, le circoscritte manchevolezze. Certo, resta qualche punto oscuro, in particolare legato alla formazione, ai tempi del fatidico arrivo a Roma e alle vicende che ne precedettero la tragica fine: ma, per quanto si tratti di aspetti rilevanti, un occhio esterno si sorprenderebbe nel constatare come le perduranti incertezze che li riguardano vengano percepite dalle legioni di studiosi che si occupano del Merisi come un vulnus insopportabile, cui si cerca di porre rimedio attraverso ricerche d’archivio, convegni e studi miscellanei che si susseguono senza sosta, conditi di polemiche spesso culminanti in conflitti accademici ad altissima temperatura. 
Le ragioni di tanta passione e accanimento, che confina col morboso, sono ormai diventate esse stesse oggetto di riflessione critica, con esiti che, direi inevitabilmente, finiscono per ruotare intorno alla presunta consonanza dello stile naturalistico e iper-espressivo della pittura di Caravaggio col sentimento se non con un ipotetico zeitgeist contemporaneo: ciò che, a cascata, ispira arditi collegamenti ideali con artisti del recente passato, o persino viventi, magari suggestive ma di dubbio costrutto gnoseologico [...]

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