Va all’asta la problematica ‘Giuditta-Tolosa’. Ne parla Stefania Macioce, esperta di Caravaggio

Stefania Macioce, scettica sull'autografia caravaggesca della Giuditta francese, almeno per quanto riguarda la tavolozza utilizzata, accoglie invece la nuova datazione al 1602 per il prototipo di Palazzo Barberini

Andrà all’asta il 27 giugno a Tolosa come opera di Caravaggio con una valutazione di circa 150 milioni di dollari, la Giuditta e Oloferne, dipinto rintracciato proprio a Tolosa nel 2014. In occasione dell’esposizione del quadro alla Galleria Colnaghi di Londra, a detta di Eric Turquin, l’esperto francese, già direttore del dipartimento Maestri antichi di Sotheby’s che ne ha seguito il restauro, la paternità dell’opera è più che certa: “L’analisi a raggi x dimostra che originariamente Giuditta volgeva lo sguardo verso Oloferne, stava guardando ciò che aveva fatto”, proprio come nella prima versione del soggetto dipinta da Caravaggio nel 1602, capolavoro attualmente a Roma nella Galleria Nazionale di Palazzo Barberini.
L’autenticità della tela (m. 1,75 x 1,44) descritta in due lettere del 1607 al duca di Mantova, nel testamento in data 1617 del pittore e mercante d’arte Louis Finson e in un un inventario del suo socio Abraham Vinck, redatto ad Anversa nel 1619, è stata oggetto di un serrato dibattito critico sulla pertinenza dell’attribuzione a Caravaggio, o al pittore fiammingo Louis Finson che a Napoli aveva un’affermata bottega e che, come risulta dalle fonti, deteneva alcune opere del pittore lombardo. 
Il dipinto in questione, che ha evidenti analogie compositive e iconografiche con quello già noto del medesimo soggetto di mano di Finson, viene indicato come un’altra versione della Giuditta e Oloferne già Coppi ora a Palazzo Barberini. Se, come alcuni sostengono, si trattasse di una copia da Caravaggio, ciò rientrerebbe facilmente nelle modalità della bottega di Finson, pittore noto, ma anche mercante d’arte che, per ovvi motivi commerciali, potrebbe aver fatto eseguire da uno specialista diverse copie anche di altri autori, per proporle al facoltoso mercato di Bruges e Amsterdam. Il dipinto, secondo il fortunato possessore Turquin, sarebbe stato modificato solo in un secondo momento, una metodica che nessun copista avrebbe perseguito men che meno per alterare la direzione dello sguardo del personaggio principale, se fosse una copia conclude Turquin: «il copista sarebbe un genio».
Nel 2016 in occasione dell’incontro a porte chiuse Attorno a Caravaggio tenutosi nella Pinacoteca di Brera di Milano, ma in precedenza avevo affrontato la questione anche al Metropolitan di New York, ho avuto modo di rianalizzare e ridiscutere il dipinto, esposto a fianco di altre opere di Finson, tra cui la Giuditta e Oloferne di proprietà Intesa Sanpaolo. In quell’occasione le analisi condotte sulla tela hanno posto in luce dati di sicuro interesse circa i pigmenti, i cambi di impostazione delle figure, risultato di una diagnostica di qualità eccellente che ha rivelato all’interno della composizione dati assai contrastanti tanto che la lettura complessiva del quadro nelle sue fasi di realizzazione, è risultata disomogenea. 
Fui colpita in particolare dalla presenza, nell’abito di Giuditta, di pigmento blu, molto in uso nei paesi nordici dove il nero era di difficoltosa reperibilità; il blu, che Caravaggio considerava il «veleno delle tinte», si riscontra solo in alcune opere del pittore utilizzato con parsimonia e ciò del resto è abbastanza in linea con la sua tavolozza notoriamente basata sulle terre. Non voglio entrare nel merito di questo aspetto che ho trattato più diffusamente in altra sede, né contestare o approvare i risultati di quella giornata che si concluse all’insegna di ragionevoli interrogativi e di una difformità di pareri [...]

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