Il capolavoro di Caravaggio riletto in base alla collocazione originaria nella chiesa di Santa Maria in Vallicella
La Deposizione di Cristo nel sepolcro di Caravaggio è una delle più celebrate opere dei Musei Vaticani; nell'Ottocento fu copiata a mosaico sull'altare della sagrestia della basilica Vaticana. Tra i primi dipinti pubblici dell'artista, fa parte di quella produzione della maturità che racconta episodi drammatici della religione, attraverso forme di straordinario impatto evocativo, che rinnovano profondamente l'iconografia tradizionale del fatto sacro. È una vera e propria sacra rappresentazione avvolta da un misterioso silenzio in cui la luce, che è più di quella naturale, irrompe con forza propria dall'alto e indaga ansiosa i corpi scultorei degli attori impegnati in gesti semplici e ieratici, cadenzati da un ritmo arcano. L'opera è pervasa da un'altissima tensione morale densa di riferimenti autobiografici che la storiografia artistica non ha mancato di rilevare. Il dipinto mira all'essenziale; non all'ambiente, al giardino - qualche sasso e un arbusto - in cui l'avvenimento accade. Rari bagliori evocano il luogo, possibile ovunque, sepolto nell'ombra. Solo il lastrone di pietra su cui poggia il gruppo ha un ruolo pari ai personaggi che sostiene. La pietra e i movimenti dei protagonisti sono bloccati in scorci arditi, l'evidenza plastica dei corpi e delle poche cose emerge dal buio, il sorprendente classicismo fatto di essenzialità e solennità scaturisce dalla realtà stessa nel momento in cui questa è rivelata dalla luce. Qui c'è tutto di Caravaggio: l'uomo dalla vita tormentata e il pittore.
La storia e la critica d'arte, tuttavia, non bastano a rendere giustizia a un simile quadro perché in esso c'è qualcosa che si muove più in profondità e che, per essere percepito, abbisogna di una condizione fisica e spaziale diversa e pure di una sensibilità visiva diversa. Per intercettare questa eccedenza ... CONTINUA A LEGGERE L'ARTICOLO SUL BLOG MARANATHA.IT