Ingrato ufficio quello della curatela di una mostra. Nonostante le lunghe e sofferte gestazioni, muovendosi sul crinale tra scientificità e divulgazione, servizio culturale e marketing, si finisce inevitabilmente per scontentare qualcuno. Un paradosso che, in qualche modo, non risparmia nemmeno l’ultima <http://ilgiornaledellarte.com/articoli/2011/11/110808.html> («Roma al tempo di Caravaggio. 1600-1630», dal 16 novembre al 5 febbraio a Palazzo Venezia, info su www.romaaltempodicaravaggio.it) legata al vincente, e spesso abusato, «marchio» Caravaggio.
Intendiamoci, la colossale esposizione (con circa 140 opere, un museo nel museo) è vivamente consigliata a tutti, poiché sarebbe un vero peccato lasciarsi sfuggire ospiti così illustri, capolavori assoluti di un prolifico periodo della storia dell’arte capitolina (con qualche sconfinamento oltre le mura aureliane), mai altrimenti così a portata di mano nella città che diede impulso a tanto genio e bellezza. Basti citare la «Susanna e i vecchioni» di Artemisia Gentileschi, da collezione privata tedesca.
La vasta, ma non affastellata, quadreria effimera può tuttavia sovrastimolare l’attenzione del generico visitatore, che rischia di smarrire via via (prima ancora di giungere al singolare «Maestro di Serrone») il filo conduttore: la pittura nell'Urbe nel primo trentennio del XVII secolo (già atipico taglio cronologico, che ripercorre approssimativamente l'intera parabola caravaggesca) tra caravaggismo e carraccismo, qui presentata con una «strizzata d’occhio» alla prima corrente (in realtà si rivela una mostra sui caravaggeschi, ma poi c'è posto un po' per tutti, da un Rubens con la superba «Adorazione dei pastori», agli anonimi o artisti ora considerati minori).
Ottima premessa, il confronto, questo sì, nella sua semplicità, estremamente diretto ..... CONTINUA A LEGGERE L'ARTICOLO SU "ILGIORNALEDELLARTE.COM"
Intendiamoci, la colossale esposizione (con circa 140 opere, un museo nel museo) è vivamente consigliata a tutti, poiché sarebbe un vero peccato lasciarsi sfuggire ospiti così illustri, capolavori assoluti di un prolifico periodo della storia dell’arte capitolina (con qualche sconfinamento oltre le mura aureliane), mai altrimenti così a portata di mano nella città che diede impulso a tanto genio e bellezza. Basti citare la «Susanna e i vecchioni» di Artemisia Gentileschi, da collezione privata tedesca.
La vasta, ma non affastellata, quadreria effimera può tuttavia sovrastimolare l’attenzione del generico visitatore, che rischia di smarrire via via (prima ancora di giungere al singolare «Maestro di Serrone») il filo conduttore: la pittura nell'Urbe nel primo trentennio del XVII secolo (già atipico taglio cronologico, che ripercorre approssimativamente l'intera parabola caravaggesca) tra caravaggismo e carraccismo, qui presentata con una «strizzata d’occhio» alla prima corrente (in realtà si rivela una mostra sui caravaggeschi, ma poi c'è posto un po' per tutti, da un Rubens con la superba «Adorazione dei pastori», agli anonimi o artisti ora considerati minori).
Ottima premessa, il confronto, questo sì, nella sua semplicità, estremamente diretto ..... CONTINUA A LEGGERE L'ARTICOLO SU "ILGIORNALEDELLARTE.COM"