Un'occasione che in Francia non capita spesso, e risulta pure unica per pregio, è la mostra caravaggesca con duplice sede a Montpellier (Caravage et les caravagistes du sud) e Toulouse (Le caravagisme du nord); qui, ci si dedica alla prima e di più forte richiamo sezione.
L'esposizione è meritevole già per l'eccezionalità dei prestiti, grazie ad uno speciale organismo intermuseale: 74 opere (133 in totale fra le due città) di cui ben nove Caravaggio e per di più fra quelli meno itineranti (come la Negazione di Pietro). Ambienti ariosi e ben illuminati (anti-caravaggescamente, e in controtendenza a mostre che si preoccupano più della conservazione delle opere), con limitate fasce di rispetto che consentono una visione ravvicinata e l'esercitarsi dell'occhio su un fare pittorico del nostro meno familiare (vedi la Flagellazione di Rouen), apparato didattico di sala – e targhe esplicative per ciascun quadro!, sia pure quasi inevitabilmente ripetitive sui temi ricorrenti – equilibrato e ineccepibile, e soprattutto scientemente sgombro da sottesi iconologici che spesso personalizzano troppo la lettura di un'iconografia e la cura di una mostra.
Sei qui le sezioni di Corps et Ombres. Caravage et le caravagisme européen: Caravaggio, naturalmente in apertura, tele fra le più riconosciute come autografe con la copia finsoniana della Maddalena; Le prime conversioni, con la sintetica anteprima Baglione-Borgianni-Gentileschi (quest'ultimo, figlia compresa, ampiamente rappresentato) e un Leonello Spada che il museo – c'è chi può! – vanta di aver potuto acquistare di recente; I francesi a Roma attorno a Manfredi, Vouet e Valentin fra tutti, per una sezione patriotticamente la più nutrita; La tentazione caravaggesca, con un'onda lunga che si trascinerebbe fino alla metà del secolo XVII, ma la tentazione qui talvolta pare più quella di chi vuol vedere a tutti i costi un'influenza del maestro (che non può esservi banalmente per scelta di temi/composizioni e qualche contrasto luministico); Da Napoli a Siviglia, unificando e sviluppando le due forti esperienze partenopea e ispanica, chiaramente riconduce a Battistello e Ribera, portando fino a de Zurbarán e Velázquez; Il caso singolare di Georges de la Tour, con il contraltare del "Caravaggio francese" chiude idealmente e in maniera azzeccata la ricca esperienza del visitatore. Seguono ulteriori salette dedicate in particolare a, ça va sans dire, la nazionale cappella Contarelli, e applicazioni interattive di camera oscura, corps (manichini modellabili) et ombres appunto.
Qualche appunto su inattesi artisti 'minori' portati alla ribalta caravaggesca (Assereto o De Bellis non ne sono certo frequentatori assidui), e selezione per forza di cose dettata anche dalle offerte museali messe in sinergia; comunque – almeno qui – nessuna spoliazione dalle chiese locali, anzi inserite in un percorso extra di visita teso intelligentemente a valorizzare il territorio. Ma soprattutto, pare più di proposito che – si vuol sperare – per beata ignoranza d'oltralpe, la convinzione senza possibilità di appello del più tradizionale arrivo del Merisi a Roma nel 1592: nella bibliografia aggiornata all'anno corrente, nemmeno una citazione del serio e fondamentale lavoro presso l'Archivio di Stato di Roma che sposta in avanti quella datazione.
Sostanzialmente, la mostra è promossa e, di più, qualcosa potrà pure insegnare da queste parti, dove il marchio Caravaggio più spesso si usa. Ed abusa.
(Michele Cuppone, Roma, 10 ottobre 2012)