D. Dottoressa Vodret, Caravaggio e i caravaggeschi sono stati e
sono al centro dei suoi studi. Le chiedo un bilancio critico di questo
fenomeno la cui fortuna critica si direbbe inarrestabile.
R. Mi sono dedicata a questo argomento da quando mi sono laureata negli anni '70 con
Cesare Brandi con un tesi su un caravaggesco senese,
Francesco Rustici.
Da lì ho continuato in questa direzione, proseguendo gli studi che,
allora, in questo campo erano dominati dalla figura di Longhi,
grandissimo storico dell’arte che però non aveva a disposizione tutti
gli
strumenti che abbiamo oggi e quindi, per quanto la sua figura resti
assolutamente autorevole, alcune delle sue attribuzioni vanno riviste
alla luce delle nuove scoperte della critica e soprattutto dei grandi
progressi che le indagini diagnostiche hanno fatto negli ultimi tempi.
D.
Sugli esordi di Caravaggio tra gli studiosi ci sono ancora molte
incertezze, anche alla luce dei nuovi documenti trovati da Francesca
Curti all’Archivio di Stato. Qual è il suo pensiero in proposito?
R. Stiamo tutti cercando di dare un senso a questi documenti, che sono
abbastanza complicati da capire. Dopo un primo momento di spaesamento,
gli specialisti sono impegnati, ognuno con i suoi ragionamenti, a
inserire le complesse vicende biografiche e le opere dei primi anni di
Caravaggio a Roma
dentro una stretta griglia documentaria. Un documento inequivocabile
impone, infatti, di datare entro la Quaresima del 1596 l’apprendistato
di Caravaggio presso la bottega del pittore
Lorenzo Carli – il quale, secondo le fonti biografiche, fu il primo contatto romano del pittore lombardo
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