Spesso
le interpretazioni che vogliono innovare espongono i capolavori dell’arte ad ulteriori
incomprensioni.
RIMETTIAMO
AL SUO POSTO IL MATTEO DI CARAVAGGIO, di Pietro
Caiazza
Un
recente volumetto (Caravaggio. Dov’è
Matteo. Un caso critico nella Vocazione di San Luigi dei Francesi, a cura
di M. Cecchetti, Milano, Medusa Edizioni, 2012), nel tradurre e raccogliere
cinque contributi relativi al dipinto che Caravaggio realizzò per la cappella
Contarelli in San Luigi dei Francesi a Roma tra il 1599 ed il 1600 ed
al personaggio di Matteo in specie, ha riportato d’attualità una vecchia tesi
di Andreas Prater del 1985, secondo la quale il personaggio di Matteo non
sarebbe – come si era sempre creduto – l’uomo barbuto al centro del tavolo,
bensì il giovane a testa bassa a capotavola che conta il denaro.
L’ipotesi
parte sostanzialmente da due presupposti: il primo dei quali concerne il dito
indice sinistro dell’uomo barbuto, che Prater ritiene rivolto dal personaggio
non a sé stesso, bensì appunto al giovane a capotavola (non dunque un «Chi?
Io?», bensì un «Chi? Lui?»); il secondo dei quali è che questo giovane stia
contando avidamente le monete, e sarebbe per di più un vero truffatore, giacché
addirittura farebbe astutamente sparire parte del denaro che estorce all’uomo
barbuto, il quale ultimo starebbe ponendo – secondo codesta lettura – appunto
le monete sul tavolo.
La
conclusione di Prater è in sostanza che Caravaggio abbia voluto giocare un tiro
mancino a tutti gli osservatori del dipinto, lasciando individuare ed
interpretare per Matteo l’uomo barbuto, che funzionerebbe però come una sorta
di «figura-alibi», mentre invece il vero Matteo sarebbe il giovane che non
degna nemmeno di uno sguardo Gesù che lo chiama.
Il
dibattito, sviluppatosi dopo l’articolo di Prater, ha registrato consensi e
dissensi, da Kretschmer (che nel 1988 si dichiarava non convinta dall’ipotesi)
ad Hass (che invece ancora nel 1988 concordava con Prater) fino a Röttgen che
nel 1991, con robuste argomentazioni, ha rifiutato la lettura di Prater,
ritenendo invece che il giovane a capotavola sia un «avaro» che non vuole
pagare quanto da lui dovuto, al punto da nascondere le monete sotto il gomito.
Salvatore
Settis, recensendo il volumetto su Il
Sole 24 Ore del 13 gennaio 2013, sembra aver in sostanza sposato la tesi di
Prater, ed ha aggiunto, sulla scorta del contributo di Levin, parimente presente
nel volumetto, che quella figura del giovane a capotavola (intesa come l’avido
pubblicano, Matteo) deriverebbe da una nota xilografia di Hans Holbein (il
Giovane) del 1538, relativa all’uomo che per accumulare ricchezze perde la sua
anima.
Considerato
però che la riattualizzazione dei problemi interpretativi relativi alla Vocazione di Caravaggio corre il rischio
di avallare e diffondere letture forse non giustificate dal dipinto, e
contemporaneamente – il che è più preoccupante – di far smarrire il più
autentico e ben più profondo significato dell’evento come ricostruito da
Caravaggio nel suo capolavoro, sarà opportuno avanzare qui brevemente alcune considerazioni ...
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