Pubblicata sul n. 35 della rivista "Predella" la recensione di Michele Cuppone al volume "I Petrignani di Amelia. Fasti, committenze, collezioni tra Roma e l’Umbria" di Massimo Moretti
Dopo un paio di saggi che ne anticipavano i promettenti risultati, hanno trovato finalmente compimento gli studi di Massimo Moretti sulla famiglia Petrignani nel volume I Petrignani di Amelia. Fasti, committenze, collezioni tra Roma e l’Umbria.
Nella scrupolosità propria dell’autore, che anche qui contraddistingue l’approccio metodologico e scientifico ai diversi temi e la stesura di ogni singola pagina, è ben comprensibile come tale lavoro sia maturato nell’arco di un decennio di ricerche. Si è potuto così fare luce, con dovizia di particolari, sull’ascesa e declino di una nobile famiglia amerina che raggiunse il suo apice grazie con la figura di monsignor Fantino, noto ai più per aver ospitato un giovane Caravaggio in cerca, anch’egli, di affermarsi con determinazione nella Roma di Clemente VIII. Diversificato e fruttuoso è lo scavo archivistico – solo arrestatosi necessariamente davanti a fondi di fatto inaccessibili – su cui è basata gran parte dell’opera, tanto che le appendici documentarie ne costituiscono per estensione i quattro decimi. Il paziente lavoro di trascrizione rende manifesto peraltro l’interesse per le arti della casata, certo dettato più pragmaticamente da ragioni di rappresentanza e autocelebrazione, che non mancò di mettersi in contatto con personalità più o meno note: oltre a Merisi e il suo «turcimanno» Prospero Orsi, Ottaviano Mascarino, architetto per i palazzi di famiglia nell’Urbe e in territorio umbro, i fratelli Alberti di Sansepolcro (sebbene con loro le trattative non andarono in porto), i pittori Tarquinio Racani, Giustino Episcopi e Marzio Ganassini [...]
Nella scrupolosità propria dell’autore, che anche qui contraddistingue l’approccio metodologico e scientifico ai diversi temi e la stesura di ogni singola pagina, è ben comprensibile come tale lavoro sia maturato nell’arco di un decennio di ricerche. Si è potuto così fare luce, con dovizia di particolari, sull’ascesa e declino di una nobile famiglia amerina che raggiunse il suo apice grazie con la figura di monsignor Fantino, noto ai più per aver ospitato un giovane Caravaggio in cerca, anch’egli, di affermarsi con determinazione nella Roma di Clemente VIII. Diversificato e fruttuoso è lo scavo archivistico – solo arrestatosi necessariamente davanti a fondi di fatto inaccessibili – su cui è basata gran parte dell’opera, tanto che le appendici documentarie ne costituiscono per estensione i quattro decimi. Il paziente lavoro di trascrizione rende manifesto peraltro l’interesse per le arti della casata, certo dettato più pragmaticamente da ragioni di rappresentanza e autocelebrazione, che non mancò di mettersi in contatto con personalità più o meno note: oltre a Merisi e il suo «turcimanno» Prospero Orsi, Ottaviano Mascarino, architetto per i palazzi di famiglia nell’Urbe e in territorio umbro, i fratelli Alberti di Sansepolcro (sebbene con loro le trattative non andarono in porto), i pittori Tarquinio Racani, Giustino Episcopi e Marzio Ganassini [...]
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