Le luci e le ombre dell'ultimo rilevante volume scritto a più mani sulle 22 opere di Caravaggio a Roma, in un'accurata analisi critica (di Clovis Whitfield).
I due volumi di recente pubblicazione costituiscono un’impressionante aggiunta alla letteratura già esistente.
A cura di Rossella Vodret, già Soprintendente del Polo Museale Romano, e responsabile della mostra (ideata dal Prof. Claudio Strinati) che ha celebrato i 400 anni della morte di Caravaggio (1610), l’opera consta di circa 1300 pagine e centinaia di illustrazioni. Vengono pubblicate le 22 opere di Caravaggio a Roma, di grande interesse in quanto vengono affiancate da un’ importante quantità di informazioni tecniche frutto di recenti analisi scientifiche, che includono sia raggi x che riflettografie a infrarossi, macrofotografie, fotografie in alta risoluzione, e analisi dei pigmenti.
Molti di questi studi erano già disponibili in svariate pubblicazioni che però spesso risultavano di difficile reperibilità. Questo studio deve essere quindi più che benvenuto dal momento che i diversi articoli riguardanti la storia dei singoli dipinti, la tecnica pittorica utilizzata e la storia conservativa concorrono a creare una solida base di partenza per la definitiva comprensione della tecnica raggiunta dall’artista lombardo. Benché le illustrazioni siano utili, devo però osservare che in molti casi sia le opere che le informazioni tecniche ad esse associate avrebbero potuto essere presentate in maniera migliore in un’archivio accessibile online, perché la stampa non sempre permette un adeguato livello di scelta e di accesso. Nel primo volume sono presenti saggi di Rossella Vodret, Giorgio Leone, Marco Cardinali, Maria Beatrice de Ruggieri e Giulia Silvia Ghia, così come contributi di molti altri studiosi di importante caratura scientifica. Il secondo è completamente dedicato alle schede dei dipinti.
La maggior parte delle analisi scientifiche sono di grande valore dal momento che mostrano dettagli sulle condizioni e la conservazione delle opere, elemento questo che rafforza l’importanza del lavoro. È altrettanto vero però che queste informazioni tecniche, così come i dati storici che possono essere reperiti nelle fonti e negli archivi, non sono sempre interpretati con imparzialità nei testi corrispondenti, e forse le informazioni tecniche derivanti dall’analisi scientifica non sempre sono i mezzi più affidabili per giungere a una attribuzione accurata dei dipinti.
Una pubblicazione di così ampio respiro ha avuto sicuramente necessità di un congruo tempo di preparazione, e le ricerche condotte negli ultimi cinque anni sono state citate solo sporadicamente (l’editore nota che i manoscritti sono stati tutti consegnati nel 2013) e, pertanto, le conclusioni accademiche del lavoro si fermano sostanzialmente alle ricerche condotte in occasione della mostra del 2010 alle Scuderie del Quirinale che celebrava il quadricentenario della morte dell’artista, per la quale la Vodret aveva la complessiva responsabilità scientifica in quanto da poco nominata Soprintendente. Quella fu una mostra deliberatamente selettiva, che aveva l’intenzione di esporre solo opere che avevano un’attribuzione e una provenienza certe.
In qualche modo la curatela del direttore dei Musei Vaticani (Buranelli) può essere considerata una sorta di riabilitazione di un artista che ai suoi tempi fu discusso tanto quanto Galileo – ancora non completamente riscattato dall’accusa di eresia. Contrariamente a quanto era stato presentato nella mostra del 2010, un numero crescente di informazioni mostrano che Caravaggio iniziò la sua carriera di pittore soltanto nel 1596, pertanto ogni considerazione, riguardante dove fosse o cosa stesse facendo nei quattro anni prima del suo arrivo a Roma, rimane a tutt’oggi senza fondamenta. Poco dopo, nel 2011, i ricercatori dell’Archivio di Stato portarono alla luce la testimonianza di Pietro Paolo Pellegrini, un garzone di barbiere, che nel luglio 1597 sotto forzatura fornì dei dettagli su Caravaggio. In pratica riportò alla corte alcuni particolari che, tra le altre cose, includevano il suo primo incontro con l’artista nella bottega di Lorenzo Carli nel corso della Quaresima del 1596.
L’eccellente articolo di Giorgio Leone sulla Buona Ventura (acquisita da Del Monte) mostra che l’opera fu dipinta su un modello compositivo chiaramente riconducibile a una immagine devozionale della Madonna, molto simile a quelle che uscivano dalla bottega di Carli. Questo elemento è un ulteriore documento a conferma del fatto che, qualsiasi cosa stesse facendo Caravaggio tra il 1592, a Milano, e l’inverno del 1595/96, a Roma, il suo linguaggio così come lo conosciamo ebbe inizio solo nel 1596. Non esiste nessuna indicazione della presenza di questo personaggio così difficile tra le strade di Roma prima dell’incontro con Pellegrini. La gran parte degli studi di questi due volumi semplicemente ignorano le implicazioni di una carriera pittorica che ebbe inizio quando l’artista aveva 25 anni, forse perché ammetterlo sarebbe miracolosa quanto la rivelazione che ebbe Paolo sulla via di Damasco.
Originali e Repliche
I 22 dipinti non sono realmente tutti in ordine di autenticità e originalità, alcune sono delle repliche, e non rappresentano in maniera esaustiva gli originali veri che sono presenti a Roma. Sarebbe interessante pensare di poter distinguere tra la tecnica personale di Caravaggio e quella dei suoi rivali, ma per quanto sforzo quanto si sia fatto nel cercare di rintracciare gli antecedenti di alcune sue caratteristiche, non sono presenti possibili illuminanti confronti. La sfida però si gioca quando si prendono in considerazione versioni differenti, cercando di determinare cioè quale sia venuta prima, e su questo punto c’è ancora una forte riluttanza nell’accettare l’idea che un così grande artista potrebbe aver ripetuto sé stesso, laddove la sua abilità a copiare fu quella che creò un personaggio così interessante per quanti lo incontrarono e videro le sue opere. Il soggetto è affascinante se si mette in relazione alle molte descrizioni che sono centrali in questi saggi, ma che non sono affrontate in maniera soddisfacente. Molto spazio è dato alle due repliche del San Francesco in due collezioni romane, ma nessuna reale discussione emerge sul San Giovannino della Galleria Doria. Se accettiamo l’idea che la Buona Ventura del Louvre (cm 99 x 131) sia successiva a quella appartenuta a Del Monte, ora nei Musei Capitolini (cm 115x150), e che la maggior parte delle seconde versioni sembrano essere più piccole, è da considerarsi di notevole importanza la continuazione del patronage di Gerolamo Vittrice, al momento quando l’artista stava già lavorando per il cardinale.
È bene sottolineare l’importante ruolo giocato dalla commissione Contarelli, che fu la prima rilevante sfida su grande scala che ottenne l’artista, fino a quel momento limitato a fare figure a mezzo busto. La recente intuizione che l’Adorazione dei Pastori, già a Palermo, non fu un’opera eseguita durante il soggiorno siciliano di Caravaggio, ma che fu commissionata a Roma da Fabio de Nutis come pala d’altare nel 1600, costituisce un’enorme differenza nella comprensione del suo posto nelle opere dell’artista. Michele Cuppone ha anche proposto recentemente che il pagamento del maggio del 1602, fatto da Ottavio Costa a Caravaggio, sia stato per la Giuditta e Oloferne, ora a Palazzo Barberini (e di solito ritenuto del 1599/1600), così come seguendo l’evoluzione dell’uso delle incisioni nell’esecuzione dei suoi dipinti, si possono spiegare più logicamente collocando quest'opera dopo la cappella Contarelli.
Queste scoperte sono arrivate troppo tardi per essere inserite in questi saggi ...
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