I dipinti del cosiddetto “Maestro di Hartford" sono al centro della mostra ora a Villa Borghese.
Sono passati quasi 75 anni da quando il quadro che ha dato il nome a questo pittore è arrivato al Wadsworth Atheneum di Hartford, e se il catalogo della mostra romana privilegia ancora i saggi di Longhi, Argan e Spezzaferro (che non sono riusciti a risolvere i problemi che le sue opere presentano) è la dimostrazione che non molto progresso è stato fatto nel riconoscerne il ruolo nell’ambito del caravaggismo. Vero è che almeno non dobbiamo più seguire lo Zeri nel vedervi opere precoci dello stesso Caravaggio e tuttavia il pubblico forse avrebbe potuto essere illuminato dal suggerimento, fatto più volte nel passato, che quello opere siano parte dell’attività del suo intimo amico, Prospero Orsi. La mostra però si appalesa del tutto contraria a questa interpretazione, quasi che si debba a tutti i costi proteggere Caravaggio da qualsiasi deviazione dai miti che lo circondano, come se questa realtà gli potesse nuocere. Eppure qualcosa si può imparare anche dalle altre opere dell’Orsi, come pure dalle copie che egli ha fornito, ancora vivente Caravaggio, considerando quindi che i suoi dipinti non sono solamente quelli attribuiti al Maestro di Hartford. L’imitazione ossessiva di particolari naturalistici da parte di Caravaggio non era comunque una derivazione stilistica, ma una espressione intrinseca del modo in cui era capace di vedere e dipingere, e conviene di più cercare di evidenziare come questa oggettività si sviluppi in altri temi, oltre al genere della natura morta.
Orsi è uno dei pochi nomi costantemente associato a Caravaggio (ed anche il catalogo ci dice che Caravaggio lo “frequentò assiduamente nei suoi primi anni romani”) sia durante il soggiorno a Roma, quanto dopo. E’ presente con il pittore in molti dei casi giudiziari che lo riguardarono, e sappiamo che preparò versioni di composizioni già famose per diversi clienti, anche trattando opere che erano palesemente originali [...]
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