Ancora sul progetto Caravaggio di Porto Ercole. L'opinione di Tomaso Montanari

Il caso Porto Ercole-Caravaggio è esemplare. E non per la farsa delle ossa (un falso sconcertante), o per il costosissimo, orribile ossario: una vicenda che non rientra nelle materie culturali, ma semmai tra quelle che competono alla magistratura, ordinaria e contabile. 
Esemplare è invece l’idea di promozione turistica che questa storia porta a galla. Per otto anni l’amministrazione di Monte Argentario ha investito energie e denaro pubblico per costruire intorno all’improbabile “parco funerario” un non meno risibile “brand Caravaggio”. Il sindaco appena decaduto rivendica con orgoglio di aver speso mezzo milione di euro (!) per portare a Porto Ercole un’opera dell’artista che è sempre esposta alla Galleria Borghese di Roma (a un’ora e mezzo di auto o treno). 
Si è progettata una mostra virtuale di Caravaggio: un imbarazzante super album fotografico che si limiterebbe ad allineare permanentemente le riproduzioni in scala reale di tutti i quadri del Merisi. 
E se i cartelli stradali definiscono oggi Porto Ercole «borgo del Caravaggio», un «itinerario caravaggesco» monopolizza la segnaletica nel Paese Vecchio
Ebbene, si tratta di un caso clamoroso di “pubblicità ingannevole”: il povero Caravaggio è, sì, morto proprio a Porto Ercole il 18 luglio 1610, ma le nostre certezze si fermano qua. Con ogni probabilità egli non si è nemmeno reso conto del luogo in cui trascorrevano le sue ultime, terribili ore, nelle quali moriva di febbre malarica: e oggi non possiamo indicare né luoghi né oggetti né documenti collegati, anche solo indirettamente, alla sua persona e tantomeno alla sua arte
Il paradosso è che Porto Ercole non avrebbe alcun bisogno di questo imbarazzante marketing del nulla. Se quei soldi e quelle energie fosse state spese per tutelare e promuovere la bellezza che c’è, il ritorno sarebbe stato incomparabilmente più alto. 
C’è solo l’imbarazzo della scelta: tenere più pulite le spiagge, svuotare più spesso i cassonetti, migliorare i trasporti pubblici e la inesistente copertura wifi (magari con la fibra ottica), portare il metano, mettere in sicurezza la rete idrica (un vero colabrodo), creare spazi per il coworking per chi decide di trascorrere periodi più lunghi in questo luogo incantevole. 
E ancora: incentivare la nascita di esercizi pubblici sostenibili nell’ormai deserto Paese Vecchio (collegandolo con un marciapiede sicuro), favorire un recupero dei capannoni abbandonati della Cirio, non all’insegna dell’ultralusso per pochi ma pensando a un luogo accessibile a tutti. 
E poi la politica per la cultura: creare nell’abbandonato Asilo Ricasoli un museo che racconti in modo coinvolgente ai cittadini e ai turisti la lunghissima, mirabile storia di Porto Ercole. Un museo che prenda a modello la didattica sperimentata nei Parchi della Val di Cornia, o nell’eccellente e recente Magma di Follonica: per restare in Toscana. 
Un museo che insegni non solo la storia politica e militare dell’età classica, del medioevo romano, dell’epoca senese o della dominazione spagnola, ma che permetta di conoscere la vita quotidiana dei pescatori, facendola narrare all’ultima generazione in grado di farlo. 
Insomma, non si può creare turismo culturale senza un rispetto, seppur minimo, per la cultura: ed è anche inutile, perché chi ama Caravaggio lo cerca dov’è davvero, e cioè nelle chiese di Roma e nei musei di tutto il mondo. 
E soprattutto non ce n’è alcun bisogno, perché non serve truccare le carte per portare turisti a Porto Ercole. Basterebbe governare in modo onesto e lungimirante la struggente bellezza che la natura e la storia hanno donato a questo piccolo, e straordinario, angolo di Italia (fonte: Il Tirreno).