"Se Caravaggio si fosse educato a Roma la sua pittura non avrebbe fatto notizia": intervista a Mario Marubbi

D: Dott. Marubbi, quali sono ancora i nodi da districare nell’autografia del dipinto [il San Francesco in meditazione, ndC400]
R.: Mi sembra che ormai nessuno più pensi che possa non essere un autografo. Comprendo che la difficoltà maggiore ad accettarlo tra i dipinti autografi fosse non tanto la qualità dell’opera, piuttosto evidente, quanto l’esigenza di poter giustificare una collocazione così eccentrica per un dipinto di Caravaggio. Le vicende ormai acclarate che ne legano la committenza, o almeno il suo precoce possesso, da parte del Governatore di Roma, mons. Benedetto Ala, cremonese, credo abbiano ormai sciolto i dubbi residuali. La cosa più curiosa è però che, a parte Mina Gregori cui va riconosciuto –insieme a Maurizio Marini- di avere da sempre compreso l’importanza dell’opera, le contrarietà maggiori siano venute non solo, come è legittimo, dagli specialisti, ma in particolare dall’ambiente degli storici dell’arte cremonesi e in particolare da quelli più vicini all’istituzione museale cittadina. 
D: Secondo Lei cosa cambia in Caravaggio dopo la fuga da Roma sotto il profilo dell’ars pingendi
R: Dopo la fuga precipitosa da Roma, a seguito dell’omicidio Tomassoni alla fine del maggio del 1606, Caravaggio si trova in una situazione completamente nuova. Nonostante la protezione offertagli da Costanza Colonna nei suoi feudi, egli si sente braccato e in pericolo continuo. Cambia la sua vita, ma muta anche il suo modo di dipingere, che si fa ora più veloce, immediato, quasi che la precarietà di ogni giorno imponesse un ritmo accelerato anche al suo lavoro. Di contro alle opere concluse nell’Urbe poco prima, si pensi al San Giovanni di Kansas City o anche al San Giovannino Corsini, condotte in punta di pennello, raffinatissime nelle stesure cromatiche e dense di preziosità materiche, Caravaggio utilizza ora una scrittura più veloce, allusiva, quasi gestuale, senza preoccuparsi di tornare a rifinire, abbandonando ormai gli sfondi a una indistinta penombra. Si tratta probabilmente di un cambio di stile non dettato da una mutazione poetica, ma che deve piuttosto rispondere all’esigenza di produrre dipinti in tempi brevi, probabilmente destinati ad influenti personaggi della corte pontificia, quali appunto mons. Ala, in grado di intercedere per lui presso il papa. 
D: Ci perdoni per la domanda un po’ suggestiva, ma il tema del pentimento che accomuna questo dipinto con la Maddalena o le Maddalene, visto che nella mostra francese del prossimo settembre a cura di Francesca Cappelletti e Cristina Terzaghi ne compariranno due: la Klein già nota e quella recentemente in collezione europea scoperta dalla Mina Gregori, è casuale o indotto nel Caravaggio dai fatti delittuosi che il pittore si lascia alle spalle fuggendo da Roma? 
R: Tutta la pittura di Caravaggio ha una forte componente autobiografica, fin a partire dalle opere giovanili. Non vi è dipinto che egli realizzi senza che non vi si possa riconoscere il suo coinvolgimento emotivo, la sua partecipazione affettiva al fatto narrato, quasi ri-vissuto in prima persona secondo la prassi carolina di immedesimazione che l’arcivescovo di Milano seguiva nelle sue visite ai Sacri Monti. Impensabile che le opere realizzate in sì difficile frangente della sua vita non tradiscano in qualche modo lo stato di prostrazione psicologica che lo affiggeva per il dramma di un omicidio preterintenzionale. E’ come se il pittore volesse e cercasse un modo per espiare la colpa pur non intenzionalmente commessa. E l’effigiarla nell’atteggiamento di contrizione di santi penitenti, Maddalena o Francesco che fossero, significava probabilmente manifestare apertamente il suo desiderio di espiazione e redenzione. 
D: Quindi anche lei è d’accordo nel fatto che in molti ritengono che il san Francesco sia un autoritratto. E’ così? 
R: L’idea che il volto del santo altro non sia che l’autoritratto del pittore è un pensiero longhiano non da tutti condiviso, ma che la lettura in chiave autobiografica del dipinto ha riportato sicuramente in auge. Personalmente avrei pochi dubbi ad immaginare che in quell’espressione di pacifica rassegnazione e di abbandono totale nel mistero della Provvidenza vada colto lo stato d’animo di Caravaggio in quei mesi dell’estate del 1606, e che dunque quel volto raffiguri proprio il suo autoritratto [...]

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