Non credo ci sia al momento artista più ammirato e analizzato, più leggendario e misterioso di Michelangelo Merisi da Caravaggio. E pensare che in fondo, di quattro secoli di storia dell’arte intercorsi tra lui e noi, è solo da uno che è stato “scoperto”, dato che l’attenzione e gli studi su di lui sono iniziati solo nei primi decenni del ‘900. E’ Caravaggio l’artista più mediatico o mass-mediale, per dirla in termini attuali, nel senso che i media sono ormai da tempo scatenati alla ricerca dei frammenti dell’affascinante e intricato mosaico della sua esistenza, sempre meno attenti alla sua arte.
E quando di mezzo ci sono sesso e ambiguità, soldi ed eccessi, omicidi e risse, inseguimenti e minacce, evasioni impossibili e fughe ricorrenti, protettori potenti e persecutori temibili, fede ed eresia, chiesa secolare e ragion di stato, inquisizione e corruzione, esoterismo e sette, segreti e misteri, criminali e cavalieri, processi e condanne, vendetta e giustizia, indulti e leggi ad hoc ed ora persino trafugamenti ad opera della mafia e confessioni di pentiti, ecco che il personaggio diventa assolutamente contemporaneo e come tale viene trattato relativamente alle sue vicende: alla stregua di un caso di cronaca nera, le cui indagini sono parallele e in alcuni punti fin troppo simili a quelle di tanti nostri protagonisti di vicende politiche e giudiziarie, che ogni giorno riempiono pagine di quotidiani e riviste, programmi tv, salotti e tribunali.
E allora via a “Caravaggio - Cold Case”: caso irrisolto ma che ancora si deve provare a risolvere. “Caravaggio - X-File”: un uomo scomparso misteriosamente nel nulla! “Caravaggio – Chi l’ha visto”: alla ricerca di testimoni che ne diano notizia. “Caravaggio - Enigma”: fu forse omicidio di stato? “Caravaggio - Doctor House”: per scoprire da quale di tre terribili malattie fu consumato. “Caravaggio - Angeli e Demoni”: vittima di un intricato piano ordito dal Vaticano? “Caravaggio – Blu notte”: ricostruzione degli ultimi giorni, fino a quando fu giustiziato da sicari inviati da un boss maltese anziché siciliano. “Caravaggio - C.S.I.”: sulla scia del mistero del suo seppellimento, alla ricerca delle sue ossa per analizzarne il d.n.a. e scoprire la causa mortis. “Caravaggio - “Porta a Porta”: come fare di lui l’uomo nero, processarlo in diretta e sviare l’attenzione dalla sua arte.
Facendo leva sulla leggenda nera, ecco che Caravaggio il rivoluzionario dell’arte diventa invece l’artista maledetto, e un turbine di studiosi, giornalisti e persino forze dell’ordine si scatenano alla caccia di antichi referti medici, atti di morte, cripte, ossa, abiti crociati, documenti, inventari, testamenti e quadri.
Noi di Caravaggio400 non possiamo restare a guardare. La nostra mission (per niente impossible) è promuovere la sua arte, per questo l’accento sulle sue opere, gli studi fin qui condotti, la storiografia e la critica, le conferenze, i restauri, le pubblicazioni, le mostre e gli eventi a lui correlati sono ogni giorno curati e messi in evidenza, proprio per non smarrire il senso della sua arte, che desta grande meraviglia e davanti alla quale non bisogna perdere la capacità di stupirsi e restare incantati. Non vogliamo che la sua importanza come pittore passi in secondo piano per gli episodi biografici.
Oggi, purtroppo, siamo abituati a farci influenzare più dal noir e dal giallo che ruotano intorno a Caravaggio, mentre dovremmo soffermarci sulle emozioni trasmesse da tutte le intense cromie, i contrasti di luce/ombra, i significati reconditi e le pose ardite dei soggetti nelle sue tele. Sono loro che, dopo quattro secoli, continuano a raccontarci una storia, la vera storia di un grande artista che bruciò di passione per la pittura e coltivò il suo talento ardentemente, inseguendo un sogno, quello di esplicitare il proprio genio ed entrare nella leggenda. Inseguito ogni giorno dallo spettro della propria morte, la esorcizzò sulla tela e visse dipingendo per travalicare il tempo e divenire immortale.
E poi, semplicemente, fu a Porto Ercole che Caravaggio, come tutte le leggende e i miti, andò incontro al proprio destino e morì.
Per non sottrarmi sdegnosamente alla sua storia personale, dopo aver letto più di una sua biografia, anch’io due mesi fa sono andata a Porto Ercole e lì ho scritto qualche pagina di diario, un divertissement che pubblico qui ed ora semplicemente per schiudere anche le pagine del nostro blog alle riflessioni e non certo per una caccia al corpo, invitando chi segue appassionatamente Caravaggio a dire la propria, correggere eventuali imprecisioni riportate di biografia in biografia, aggiungere un commento.
Porto Ercole, 4 ottobre 2009
La notizia del possibile ritrovamento della tomba di Caravaggio a Porto Ercole mette in moto la mia curiosità e mi spinge a compiere un piccolo viaggio. In fondo non conosco molto la zona dell’Argentario e quale occasione più stimolante che ripercorrere quello che potrebbe essere stato l’ultimo tragitto di Caravaggio? Non per fare chissà quali scoperte, quanto piuttosto per lasciar emergere le mie domande lungo il cammino, inseguendo un pensiero più che un indizio.
Alla luce del documento che fa risalire la morte del Merisi (per malattia) a Porto Ercole il 18 luglio 1610, fugando gli ultimi dubbi su data e luogo, il primo interrogativo è: che ci faceva lì il pittore più braccato del momento? Biografi suoi contemporanei concordano nel fatto che egli s’imbarcò su una feluca a Napoli all’inizio di luglio 1610 con alcuni dei suoi ultimi dipinti, destinati al cardinale Scipione Borghese che stava intercedendo presso il papa per il suo perdono; partì sperando di poter rientrare presto a Roma, per tornare ad essere il pittore più celebre e remunerato dell’Urbe. Non essendogli ancora pervenuta alcuna garanzia di grazia, timoroso di essere arrestato o, peggio, raggiunto dai sicari maltesi che ancora aveva alle calcagna, Caravaggio invece che al porto di Roma sbarcò prudentemente a Palo (vicino Ladispoli), o forse fu fatto sbarcare a forza. Lì fu subito messo agli arresti nella fortezza situata sul mare, pare per errore, e rilasciato dopo almeno due giorni e solo dopo il pagamento di un’ingente somma. A quel punto poteva dirigersi verso Roma, in fondo alcune fonti riportano che aveva con sé un salvacondotto che gli aveva dato il cardinale Ferdinando Gonzaga partendo da Napoli, magari poteva intanto mettersi al riparo presso committenti e protettori (ne aveva sia tra nobili che ecclesiastici) e aspettare che la situazione volgesse finalmente a suo favore. Invece quel pittore scelleratissimo che fece? Prese la via opposta e s’incamminò da solo o al più con un servitore, sotto il sole cocente di luglio, probabilmente senza quasi più averi né armi.
Torno alla domanda iniziale: perché andare a Porto Ercole? Se la feluca su cui erano imbarcate le sue robbe e i dipinti non lo aveva aspettato e aveva proseguito la navigazione, raggiungerla per recuperarli era la sua priorità. Senza quelli il rientro a Roma sarebbe avvenuto più in sordina, perché senza sfoggi della sua arte ultima, né doni da offrire al papa o a chi aveva operato per il suo ritorno. Forse sapeva o pensava che l’imbarcazione avrebbe proseguito la navigazione, magari fino a Genova, e dunque avrebbe sostato in altri porti per scaricare merci e imbarcare viveri, oppure se ne poteva essere tornata a Napoli. Qualunque fosse la direzione, doveva cercare di imbarcarsi in un porto sicuro e ben frequentato dalle imbarcazioni. Civitavecchia (che tra l’altro viene inizialmente menzionata dal biografo contemporaneo Mancini, ma poi corretta in Porto Ercole) era vicinissima, ma forse proprio per questo troppo pericolosa. Porto Ercole dovette sembrargli più sicura, anche per il fatto di essere notoriamente presidio spagnolo e dunque fuori delle giurisdizioni romana e maltese. Così iniziò il cammino (le biografie coeve lo raccontano a piedi), che immagino fosse avvenuto vicino la costa, ma non troppo: quel tanto che gli bastava per scorgere il mare alla ricerca della feluca, se questa aveva proseguito a nord, ma sufficientemente vicino alla boscaglia per tenersi al riparo da brutti incontri e dal sole a picco di luglio.
Impensabile immaginare Caravaggio arrancare sulla sabbia per un centinaio di chilometri, come qualche biografia suggerisce, in condizioni così avverse e imprudenti. Tra la linea di costa e la via Aurelia avrà superato il castello di Santa Severa, poi Santa Marinella, Civitavecchia, Tarquinia, Gravisca e Vulci, per giungere attraverso la maremma grossetana fino ad Ansedonia e da lì imboccare l’antica via che attraversa il tombolo della Feniglia. E se, come me, percorrete a piedi questo tragitto guidati da un archeologo che conosce la zona, raccoglierete elementi e testimonianze che solo un esperto cercatore di tracce riesce a scorgere: di questo originario percorso rimangono indizi ancor oggi, visibili nel piano ribassato del calpestio che attraversa l’area protetta del parco.
Insomma, in questo antico tratto, tra pini e cespugli di macchia mediterranea, l’ombra e il riparo dagli sguardi per Caravaggio erano garantiti. Forse non altrettanto la difesa dalle temibili zanzare locali (che ancor oggi affliggono visitatori e abitanti dell’Argentario!), considerato che la zona era una grande palude non ancora bonificata. E qui Michelangelo, tra viaggio e soste, passò alcuni giorni, debilitato magari dai morsi della fame o più probabilmente da quelli degli insetti. Forse contrasse la malaria, o una febbre tifoide e si ammalò gravemente. E’ possibile che qualche viandante lo trovasse a terra esanime e lo trasportasse al più vicino ricovero, il nosocomio di S. Maria Ausiliatrice, dove venne assistito probabilmente dalla confraternita di S. Sebastiano di Porto Ercole che si occupava di soccorrere i pellegrini. A meno che lui al porto non ci fosse giunto da sé, sperando di trovarvi la “sua” feluca o magari per tentare di imbarcarsi su una delle tante galee nel tentativo di raggiungerla; ma vi arrivò in condizioni terribili e fu comunque ricoverato, per poi morire dopo pochi giorni. Non doveva essere del tutto privo di conoscenza al suo arrivo, o forse recava ancora con sé il salvacondotto, altrimenti come avrebbero potuto sapere il suo nome tanto da annotarlo sul foglio recentemente ritrovato? Strano il fatto che non venne trascritto sul registro! E poi, se la sua fama era giunta fin lì, come mai non avevano mandato immediata notizia a Roma della sua morte?
Nell’Urbe l’annuncio della fine di Caravaggio arriva dieci giorni dopo, non per comunicazione diretta, ma attraverso un portavoce della corte di Urbino, cui tre giorni dopo fa eco un altro comunicato da Napoli, che vuole il pittore morto sulla via di ritorno a Roma da Porto Ercole, mentre l’indulto, secondo alcune fonti mai comprovate, era ormai predisposto. Scipione Borghese chiede dettagli della tragedia, vuole essere certo della perdita di tanto talento che sapeva al sicuro a Napoli. Il clamore è enorme, dispacci e lettere partono da e per Roma, chiedono notizie e prove certe.
A questo punto mi chiedo, come mai nessuno reclamò il corpo di Michelangelo? E’ vero che si trattava pur sempre di un uomo accusato di omicidio, ma se era ormai pronta la grazia non doveva essere più un problema e poi molte persone influenti erano legate a lui. In primis la famiglia Colonna che, fin dalla sua nascita, lo aveva seguito e sempre tolto dai guai: fu la Marchesa Costanza a mandarlo dai suoi parenti Doria a Genova quando Caravaggio aggredì il notaio Pasqualone, fu nuovamente lei a dargli riparo nei feudi a sud di Roma quando uccise Ranuccio Tomassoni, sempre lei a ospitarlo poi a Napoli quando era in fuga e ad affiancargli suo figlio Fabrizio quando andò a Malta. E a ospitarlo nuovamente a Chiaia di Napoli di ritorno dalla Sicilia e prima del suo ultimo viaggio. Perché, se gli era così profondamente legata, tanto da sfidare le ire papali nel proteggerlo, non avrebbe dovuto dargli sepoltura più degna anziché lasciarlo in una fossa comune? Anche i vari cardinali che Michelangelo aveva dalla sua parte avrebbero potuto ottenerne le spoglie, non certo per tumularle nel Pantheon ma almeno per poter incidere il suo nome illustre su una lapide. Forse qualcuno negò questo privilegio, ma chi? Solo il papa, il gran Cavaliere dell’ordine di Malta o un potente persuaso dalla famiglia Tomassoni (che era pur sempre legata ai Farnese) potevano esprimere un decisivo veto in tal senso; nessun altro gli era così avverso.
Un’ipotesi suggestiva potrebbe essere che invece qualcuno magari contravvenne a quel divieto e reclamò le sue spoglie, pagando il dovuto e comprando il necessario silenzio, e ora il corpo di Michelangelo giace chissà dove, magari proprio a Roma dove così ardentemente voleva tornare. Non avendo lasciato discendenti noti, l’unica analisi del DNA possibile, qualora si ritrovassero resti attribuibili a lui, sarebbe su genitori, fratelli o nipoti di cui è ben identificata la sepoltura. Quanto al ricordo della dott.ssa Anastasia riportato nell’articolo precitato, riguardo uno scheletro sepolto sotto la chiesa di S. Erasmo con indosso la veste con la croce maltese, c’è da discutere, perché Caravaggio lasciò Malta nell’autunno del 1608, scappando di prigione dopo essere stato spogliato dell’abito ed espulso dall’ordine con l’accusa di essere “membrum putridum et foetidum”; difficile che potesse sfoggiare impunemente il vestito da cavaliere dell’ordine dopo che, scappato di prigione calandosi con una fune, si era imbarcato per Siracusa, per andarsene dopo qualche tempo a Messina, poi a Palermo e ripartire alcuni mesi dopo per Napoli (dove venne gravemente ferito da presunti sicari maltesi davanti una locanda). Da qui si mise di nuovo in viaggio via mare, sbarcò e fu incarcerato a Palo, per poi giungere a piedi fino a Porto Ercole. E’ vero che orgogliosamente, fino all’ultimo, continuava a fregiarsi del titolo di cavaliere impropriamente, ma tra i tanti viaggi e peripezie, e soprattutto alla fine, con il caldo di luglio, difficile che andasse in giro indossando l’importante abito. A meno che questo, come un dono simbolico, non gli fosse stato portato da qualcuno (o qualcuna) come ultimo omaggio per avvolgerne il corpo. Ipotesi comunque poco convincenti.
Dei dipinti sulla feluca le notizie pervenute sono oscure; fonti tramandano che furono riportati là dove erano partiti, ossia a Chiaia di Napoli dalla marchesa Colonna, o forse i quadri nominati nei documenti erano altri che Caravaggio le aveva lasciato in custodia, ossia due raffigurazioni di S. Giovanni e una Maddalena. Per certo si sa che la loro esistenza alimentò una feroce disputa tra creditori, sedicenti eredi, nobili protettori, priorato maltese e cardinali. Alla fine un S. Giovanni Battista andò a Scipione Borghese, cui era stato destinato sin dall’inizio (e ora fa bella mostra di sé nella Galleria Borghese).
A Porto Ercole il vecchio ospedale è stato trasformato nel tempo in abitazione. Per quanto riguarda il presunto luogo di sepoltura del pittore, sembra che nel 1956 i (possibili) resti dall’antico cimitero siano stati traslati nella chiesa di S. Erasmo, strana operazione considerato che normalmente accadeva l’inverso: al tempo di Caravaggio i deceduti venivano immediatamente sepolti sotto il pavimento della chiesa, secondo la consuetudine dell’epoca. Le botole di pietra, oggi ancora visibili lungo la navata centrale, sono sei e tutte delle stesse dimensioni, grandi abbastanza per calare i cadaveri nei sotterranei. Sull’altare maggiore, invece, ci sono quattro lastre tombali datate nel XVII secolo, una recante uno stemma, le altre intitolate a capitani e nobili spagnoli stanziati a Porto Ercole durante il presidio.
Nella boscaglia della Feniglia c’è un cippo marmoreo, posto per commemorare il quarto centenario della nascita di Caravaggio. La data erronea della nascita nel 1573, ossia due anni dopo, si basa probabilmente sulla poesia composta da Marzio Milesi, amico del pittore, che gli attribuisce 37 anni alla morte. Lo stesso errore è riportato nella targa bronzea posta all’interno della porta antica di Porto Ercole. Qualche anno fa è stato trovato l’atto di nascita di Michelangelo, che mette in luce la vera data: 29 settembre 1571.
Recentemente all’ingresso del paese è stato posto un monumento commemorativo, in cui gli emblemi caravaggeschi sono ben leggibili: la spada, il mantello, la croce maltese e la grata del carcere, simboli della romanzesca vita del pittore, che oltre all’amore per la pittura era mosso da un’indole inquieta e da una sorte spesso avversa, che lo portò qui a finire i suoi ultimi giorni da fuggitivo, mentre si consumava dal desiderio di tornare a Roma in trionfo. A Porto Ercole Caravaggio morì solo, perseguitato e senza più gloria, forsei redento dall’accusa d’omicidio solo post mortem.
Quel che è assolutamente certo è che a Porto Ercole, come a Roma e in tante altre parti d’Italia e del mondo, il quarto centenario della morte di Michelangelo Merisi sarà celebrato degnamente. Mentre le grandi città si contendono i quadri per le mostre, a Porto Ercole si preparano all’evento iniziando i casting alla ricerca dei modelli che interpretino i personaggi dei quadri del Maestro, per un interessante progetto di arte fotografica.
Chissà quali sorprese ci riserverà questo 2010, tutto nel segno di Caravaggio…