Caro direttore,
sebbene, come sai, con qualche titubanza iniziale, accolgo il tuo cortese invito a rilasciare un breve resoconto del convegno scientifico dedicato alla
Natività di Caravaggio nel 50° del furto, tenutosi nell’oratorio di S. Lorenzo a Palermo il 14 ottobre scorso. All’incontro organizzato da
Bernardo Tortorici, moderato da
Maurizio Vitella e introdotto da
padre Giuseppe Bucaro, sono intervenuti, oltre allo scrivente,
Francesca Curti e
Giovanni Mendola. Ciò che mi ha convinto a tornare sul tema sono state, al solito, le novità; diverse delle quali discendenti da un costruttivo dialogo fra relatori e pubblico. Esse hanno potuto precisare utilmente anche precedenti osservazioni dello scrivente; tra cui alcune annotazioni di carattere iconografico, pubblicate proprio su
About Art, che già smentivano l’ipotesi in controtendenza di
John T. Spike di identificare san Giuseppe nella figura in piedi con il bastone.
La prima novità del convegno, frutto di un’osservazione condivisa nella stessa giornata da chi scrive con Francesca Curti, è stata poi presentata e ben illustrata da quest’ultima. Si riporta di seguito il relativo passaggio, originariamente inserito all’interno dell’analisi dei vari soggetti che, fra Roma e Palermo, ruotarono attorno alla commissione formalmente avviata da Fabio Nuti per il quadro della Natività: «È anche interessante il fatto che gli interessi di Fabio Nuti (del banco Nuti-Spennazzi), che lavorava a Napoli e aveva una sede a Salerno, non erano soltanto rivolti verso Roma o la Toscana, ma evidentemente anche verso la Sicilia. Lo dimostra un documento trovato da Giovanni Mendola, risalente all’8 marzo 1601, che attesta transazioni con il mercante Cesare de Avosta, confrate della compagnia di San Francesco (la quale aveva sede nell’oratorio di S. Lorenzo). E c’era poi anche questa singolare coincidenza, che forse coincidenza non è, che anche Cesare de Avosta, pur vivendo a Palermo, era originario di Salerno. E credo che questo collegamento sia molto rilevante, sempre per indirizzare appunto verso una commissione palermitana del quadro ‘Nuti’». In definitiva, proprio Cesare de Avosta potrebbe essere stato fra i principali tramiti, da Palermo, per raggiungere Caravaggio, attraverso il mercante Fabio Nuti il quale aveva vissuto e aveva ancora occasione di recarsi a Roma; e potrebbe così spiegare meglio l’iter di questa commissione.
Più spazio necessitano le colte riflessioni di don Mario Torcivia, prete della Chiesa di Palermo e Ordinario di Teologia spirituale presso lo Studio Teologico S. Paolo (Catania), intervenuto dal pubblico. La prima appunto è sull’identificazione del pastore e di san Giuseppe. Con riferimento all’icona della Natività di Rublëv, per Torcivia: «La Natività ha a che vedere solo con Maria, intorno alla quale ci sono gli angeli, i Magi in cammino, i pastori. E poi, in basso, sono scritte le due affermazioni teologiche fondamentali – Gesù Cristo è vero Uomo e vero Dio – una delle quali è ripresa da Caravaggio. Inizio con le due levatrici, che Caravaggio non rappresenta. Una delle tentazioni è: “Non è vero Uomo”. Ma se ci sono le levatrici (secondo la tradizione, Zelomi/Eva e Salome sono i loro nomi), allora è vero Uomo, perché stanno facendo il bagno al bimbo. Ma ecco la seconda tentazione. Il pastore che dialoga con san Giuseppe, nella tradizione iconografica cristiana, è Tirso – che poi è il bastone di Dioniso, dei satiri e dei baccanti – che è la personificazione del diavolo, che si presenta come pastore: ecco perché è vestito con le pelli. E non è il pastore che adora perché, se fate caso, anche in Caravaggio, Giuseppe guarda Tirso. Entrambi però sono fuori dall’evento Natività – nella Natività di Caravaggio c’è Maria, il Bambino e poi ci sono i due santi la cui presenza appare scontata: Lorenzo (per l’oratorio di S. Lorenzo) e, anche qui, con un punto interrogativo, ‘Francesco’ (per la compagnia di San Francesco) – ma il punto è che Tirso tenta Giuseppe sulla divinità. Se le levatrici ci dicono che il bimbo è veramente Uomo (il bagno), il pastore-diavolo Tirso (con il bastone, che Caravaggio riprende) tenta dicendo: “Ma com’è possibile che una vergine partorisca un figlio e com’è possibile che tu, anziano, possa essere fecondo? Tu sei come questo bastone, che rimane secco”. A questa tentazione, risponde la tradizione cristiana – qui, in Caravaggio, però assente – che raffigura il bastone che fiorisce, il bastone gigliato di Giuseppe. Quindi, Giuseppe sta in basso, per i fatti suoi, e non guarda Maria perché, ripeto, nell’evento Natività, Giuseppe non c’entra; è un personaggio marginale. Diventa però ‘centrale’ perché sta dicendo, attraverso la tentazione che subisce da parte di Tirso, “No, realmente il bimbo è vero Dio”. Il pastore che dialoga con Giuseppe è pertanto Tirso, per cui Caravaggio è perfettamente inserito nella tradizione iconografica cristiana, che poi abbiamo perso, e che è rimasta solo nelle icone orientali; ma lì è chiarissimo».
Ancora, don Mario, sull’identificazione di san Francesco e, di conseguenza, sulla datazione del quadro: «Anche a me non convince pensare che il personaggio orante sul fondo sia san Francesco. Di sicuro, il dipinto non è stato fatto a Palermo, per un semplice motivo. Perché se fosse stato fatto qui a Palermo … guardate il san Francesco del Serpotta sulla sommità dell’arco trionfale: quello è l’abito dei Conventuali. Ora, non c’è nessuna famiglia francescana che fa dipingere qualcosa per sé, che non faccia raffigurare Francesco secondo i suoi abiti, nel colore e nella forma. Dunque, in alto, sull’arco, c’è l’abito dei Conventuali, e lo possiamo vedere ancora oggi indossato dai frati dell’adiacente Basilica di S. Francesco d’Assisi. Quello di Caravaggio non è un abito dei Conventuali: quello è un abito o degli Osservanti, o dei Riformati, o degli Alcantarini (ma non dei Cappuccini). Ma, mentre sono convinto su Tirso, questa di Francesco è un’ipotesi: per me, non è lui» [...]
link: