"Caravaggio mania o manie?", di Sara Magister

Gentile Direttore,
accolgo il tuo invito a intervenire nel dibattito generato dagli articoli di Luca Bortolotti e Keith Christiansen, mettendo a disposizione alcuni brevi spunti di riflessione. Per ulteriori approfondimenti su alcune delle tematiche trattate, si rimanda ai capitoli VIII e IX della mia pubblicazione sulla cappella Contarelli (S. Magister, Caravaggio. Il vero Matteo, Roma 2018).
Le radici della Caravaggio-mania vanno forse cercate nel tempo stesso del Merisi, e hanno il suono di quel «gran rumore» – positivo – suscitato dalle sue prime opere pubbliche, collocate nel luglio del 1600 nella cappella Contarelli. Il successo fu immediato e ad ampio raggio, tanto che il principe emerito dell’Accademia, Federico Zuccari, cercò maldestramente di metterlo a tacere, con il suo noto tentativo di banalizzare l’originalità della Chiamata di Matteo:
«Pur venendovi a vederla Federico Zucchero, mentre io era presente, disse. Che rumore è questo? e guardando il tutto diligentemente, soggiunse. Io non ci vedo altro, che il pensiero di Giorgione nella tavola del Santo, quando Christo il chiamò all’Apostolato; e sogghignando, e maravigliandosi di tanto rumore, voltò le spalle, et andossene con Dio» (Baglione, 1642, p. 137).
Un tentativo inutile, quello di Zuccari, ma che ci fornisce una prova di come l’invidia dei suoi concorrenti fu direttamente proporzionale al crescere della fama del Merisi, e che ci rende chiaro di quanto sia antico quello scollamento di pensiero tra Accademia e pubblico che si riscontra, per altre questioni, ancora oggi nel mondo moderno, e proprio in relazione al fenomeno Caravaggio.
Il pubblico generico del 1600, infatti, continuò a ragionare con la propria testa e a lodare apertamente anche altre opere dello stesso artista, incurante del giudizio tranchant dei critici. Ugualmente continuò a ragionare con la propria testa il mondo dei committenti di Caravaggio, che già prima di quel luglio del 1600 (pensiamo alla Natività ordinata nell’aprile di quell’anno per la città di Palermo) non smise più di contendersi, pagare, richiedere, e anche tirare fuori dai suoi guai giudiziari un artista, il cui talento fu messo fin da subito al pari di quello del divino Annibale Carracci (vedi il caso della cappella Cerasi).
Di tutto ciò ci danno sicure informazioni le fonti più autorevoli e disinteressate, e l’analisi delle concrete vicende di una committenza che annoverava peraltro i più alti vertici della Curia, della politica, dell’economia e dell’aristocrazia del tempo. Altrettanto concretamente la fama del Merisi superò presto i confini dello Stato Pontificio, e la recente mostra a Napoli ha ben ricordato come, in tutti i suoi percorsi di fuga, il Caravaggio trovasse già ad aspettarlo una nutrita lista di possibili committenti, pronti a pagarlo oro per avere anche una sua sola opera.
Ma qual era il motivo di questo apprezzamento? Non certo il suo carattere oscuro e bohémienne, bensì il suo evidente talento sia tecnico che di contenuto. In lui si riconosceva soprattutto la capacità di comprendere la profondità dei temi che era chiamato a raccontare, e di trasmetterla con soluzioni iconografiche originali, nuove, di estrema efficacia comunicativa. Lo si evince, ancora una volta, dalle fonti più attendibili (cfr. ad esempio le poesie di Marzio Milesi e del Silos) e soprattutto dall’analisi iconografica delle sue opere, in relazione ai luoghi di destinazione, di committenza e di funzione.
Questo tipo di analisi, tuttavia, trova uno scarso interesse da parte della critica di questi ultimi anni.
Eppure il pubblico che frequenta inevitabilmente le mostre sul Merisi vorrebbe capire molto più di quello che gli viene offerto, e proprio da questo punto di vista. Ma questo stesso pubblico al momento non trova altre risposte se non fugaci suggestioni che rimangono allo stato di superficie, o, letteralmente, lampi improvvisi di luce in un buio fluttuante, se non per certi versi inquietante (vedi l’allestimento della recente mostra a Napoli), che non soddisfano tuttavia le domande: “Perché così tanta bellezza? Perché le sue opere sono così coinvolgenti e moderne?” [...]

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