A Sara Magister, che ha pubblicato l’anno scorso Caravaggio. Il vero Matteo e che è una delle più acute interpreti contemporanee del Merisi e del suo tempo, abbiamo chiesto di sintetizzare in un’intervista i motivi della sua tesi che propone di identificare l’apostolo chiamato dal Cristo, nella tela della Vocazione di San Matteo nella Cappella Contarelli, non nell’uomo barbuto che si erge al centro del tavolo, bensì nel giovane ancora chino sui soldi che è alla sinistra del tavolo.
Intanto vorrei ringraziare mons. Andrea Lonardo per la sua stima, e per il suo interesse sulla questione. Concordo pienamente con lei sul fatto che Caravaggio sia stato uno dei più profondi interpreti della Chiesa Tridentina, e che è proprio grazie a questa Chiesa se sono stati prodotti i migliori capolavori dell’arte del suo tempo, inclusi i suoi. Sono quindi ben contenta di aver contribuito con nuove argomentazioni e prove concrete al sostegno di questa tesi, perché studiando il contesto e le motivazioni per cui fu realizzato il ciclo Contarelli, è emersa la volontà di fare dell’esemplare vita di Matteo una potente pastorale per immagini, destinata soprattutto ai pellegrini del Giubileo del 1600, e incentrata sui temi nodali della fede cattolica: la conversione, il perdono dei peccati, la sacralità della Bibbia, la centralità dei sacramenti nella salvezza. E così, per coinvolgere al meglio gli spettatori in questi significati, e per farli sentire vicini alla figura di Matteo, Caravaggio ha trasportato la vicenda del santo nelle strade della Roma del suo tempo, e soprattutto ha orientato la composizione delle sue storie in diagonale, per raggiungere anche chi le guarda dal di fuori della cappella. Che è poi la gran parte del pubblico, essendo quella una cappella privata.
Lei ha indagato innanzitutto sul fatto che Caravaggio rompa con una visione centralizzata del dipinto, anticipando così le modalità dell’arte barocca che stava nascendo in quegli anni. Ci può spiegare meglio?
In effetti l’orientamento diagonale che spesso Caravaggio conferisce alle sue composizioni è un tema nodale, e fondamentale per la comprensione della loro sequenza narrativa, della funzione e identità dei personaggi messi in campo, e quindi del loro significato. Ma questa strategia comunicativa non è stata ancora presa in sufficiente considerazione dalla critica, con conseguenze interpretative non irrilevanti. Forse perché la gran parte della critica è abituata a studiare le opere con l’ausilio delle fotografie - che sono ovviamente tutte prese da una posizione frontale e centrale rispetto alle tele – senza guardarle in loco. O forse anche perché siamo talmente abituati a vedere i quadri nei musei, che ci aspettiamo automaticamente una loro organizzazione compositiva classica, centralizzata sul centro geometrico dello spazio pittorico. Ma le cose non stanno sempre così, specie per l’arte barocca.
Di fatto Caravaggio orienta sempre le sue tele tenendo in considerazione lo spazio, l’illuminazione e soprattutto il punto di osservazione reale del pubblico per il quale erano destinate. Le opere pubbliche del Merisi furono tutte realizzate per essere collocate in cappelle private. Ma chi poteva entrare in quelle cappelle? Solo poche persone, come gli eredi del personaggio lì seppellito, e solo saltuariamente. Ma allora, se quelle tele dovevano anche essere funzionali al pubblico generico che le guardava dal di fuori della cappella, come coinvolgerlo nelle storie raccontate? La soluzione del Merisi fu geniale, e in effetti anticipa l’arte Barocca, anche se ha autorevoli precedenti nei grandi del Rinascimento (cfr. la volta della cappella Sistina di Michelangelo): orientare le sue composizioni in diagonale, verso il punto di osservazione reale e non ideale dello spettatore. Anche se non è un punto di vista “comodo”.
Questo è il motivo per cui le due tele laterali Contarelli realizzate tra il 1599 e il 1600, ossia la Vocazione e il Martirio di Matteo, hanno due orientamenti compositivi e luministici opposti. La Vocazione procede secondo un’azione che parte da destra, ossia da Gesù che è al limite destro della tela, e si conclude sul lato opposto, ossia sul ragazzo chino sui soldi, che è poi quello più vicino al lato dello spettatore. Il Martirio invece piomba tutto da sinistra verso destra e, per quanto il martire Matteo sia più o meno al centro della tela, in realtà l’azione si conclude nella figura di spalle nell’angolo a destra in basso, spinto verso l’esterno del quadro proprio nel lato della tela più vicino allo spettatore che la guarda dalla balaustra. La pala d’altare, realizzata nel 1602 invece ha una composizione ovviamente frontale e centralizzata, ma vista dal sotto in su, perché è sopraelevata rispetto all’occhio dello spettatore che la guarda da una posizione più bassa.
Anche la luce principale che illumina le tre tele segue lo stesso andamento appena espresso. Nella Vocazione, ha origine dal lato di Gesù e, dopo essersi aperta un varco tra tutti gli altri personaggi, si va a incuneare proprio sulla mano, sulla fronte e sulle spalle del ragazzo chino sui soldi. Nella pala d’altare invece la luce procede da sinistra verso destra, per poi continuare con lo stesso andamento nel Martirio. In questa maniera i tre momenti della storia sono collegati tra di loro, e le opere sembrano volere fuoriuscire dallo spazio a loro riservato, per andare incontro allo spettatore generico, che non ha il privilegio di entrare nell’area privata della cappella. A riprova di quanto dico, posso testimoniare che guardando invece le tele dal centro della cappella, come mi è stato concesso di fare, scompaiono completamente la percezione della profondità e delle proporzioni messe in atto dal Merisi, che si possono apprezzare a pieno solo se si torna nella posizione visiva da lui prevista, ossia quella dall’esterno della cappella.
Il comprendere l’importanza dell’orientamento di queste e altre tele pubbliche del Merisi fa molto la differenza nella loro interpretazione, perché quello che ci aspettiamo essere al centro della storia, spesso non è al centro della tela, perché magari è invece sul lato. Perché, in una tela pensata per essere vista in diagonale, non è il suo centro geometrico, ma il suo lato, a essere il centro della narrazione! Sembra un gioco di parole, ma se si va a vedere la Vocazione in loco guardandola in quest’ottica, lo si capisce subito. D’altra parte anche Gesù, che è il vero motore di quell’azione, sembra essere posto a “lato”, ma in realtà è all’inizio di una narrazione che genera da lui e termina sul margine opposto della tela, su quel ragazzo chino, il cui silenzio parla più di chiunque altro, e che, di fatto, si trova più vicino allo spettatore.
Questa lettura narrativa della Vocazione di San Matteo appare con evidenza anche in relazione alla prima versione del Martirio di San Matteo così come è possibile ricostruirla dalle radiografie, a motivo della peculiare collocazione della tela nella Cappella?
Sì, grazie alle indagini diagnostiche operate già qualche anno fa e più di recente da Marco Cardinali e Beatrice De Ruggieri, sì è potuta meglio studiare la genesi e il processo creativo di quelle tele [...]
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